Non uno slogan, ma una politica strategica che si traduce in risultati di business e in capacità di resilienza ad eventi come una pandemia

La diversity è un po' come la sostenibilità: uno di quei temi oggi sulla bocca di tutti che rischia di tradursi in mere operazioni di facciata. Non è così per un'azienda come Mars, che di questo valore già da lunga data ha fatto una vera e propria politica strategica intimamente connessa a una visione di business agile e al raggiungimento dei risultati prefissati sia di breve che di lungo termine.

Un approccio che ha consentito a Mars di rispondere velocemente alla pandemia, ma che richiede d'altro canto una cultura aziendale ben precisa con relativi investimenti, risultanti efficaci solo nella misura in cui le risorse umane non siano trattate come "mera funzione di processo o di gestione". Di questo e molto altro abbiamo parlato (online anche il relativo podcast) con Cristiana Milanesi, direttore people & organization di Mars South Europe e business partner globale per la funzione vendite. Cristiana, moglie e mamma orgogliosa di due figli, nel 2019 è stata inclusa da Forbes Italia nella classifica delle 100 donne più influenti del Paese.

Cosa significa oggi gestire bene e in modo innovativo le risorse umane di un’azienda? Altrimenti detto: e come si diventa, ormai in pianta stabile, un’azienda Great Place to Work?
Il primo concetto chiave che tengo a sottolineare è che le risorse umane devono anticipare le esigenze di business di un’azienda e tradurle in gestione strategica. Non devono essere una funzione di processo o di gestione, altrimenti non si riesce a capitalizzare il valore umano in azienda. Quando questo avviene, allora, iniziative come il Great Place to Work o l'analisi Gallup, che noi portiamo avanti tutti gli anni, non sono un'operazione di marketing, ma diventano un asset strategico dell’azienda per monitorare il proprio clima interno e tradurlo in azioni. Perché sia così, però, ci deve essere un contesto manageriale che promuova questa visione e un vertice che agisca di conseguenza sulla base di una cultura del merito. Quello che facciamo ogni volta, rispetto alle sfide principali che l'azienda si pone, è creare dei gruppi di lavoro dedicati, che siano eterogenei e diversi per composizione (genere, età, nazionalità e così via) e ai quali diamo la responsabilità di tradurre questi piani in azioni concrete. Questo perché crediamo nella cultura della responsabilizzazione. Chi beneficia del clima aziendale e del cambiamento deve anche promuoverlo in prima persona: è il coinvolgimento che porta a far dare il massimo alle risorse e stimola la partecipazione. Per questo, in tutto il mondo, preferiamo chiamare i nostri dipendenti "associati". Abbiamo un cantiere sulla responsabilità collettiva, uno sul tema della salute, che si concentrerà in questa particolare fase storica sul creare una cultura della disconnessione, uno sul tema dell’engagement in un contesto virtuale e così via.

La diversity, in questo, contesto, è trattata dunque come valore che parte dalla composizione dei vertici e che si riverbera a scendere nei gruppi di lavoro, dando vita a un connubio partecipato di idee e opinioni...
Esatto, si parte dall’esempio. È cruciale avere un management che rispecchi questa cultura, con varietà in quanto a composizione ma anche in quanto a idee ed opinioni, per poi scendere a cascata. Il fatto è che un’azienda del largo consumo parla a consumatori che per primi rappresentano un mondo eterogeno e ricco di diversità, con una varietà umana incredibile in termini di genere, età, etnia e così via. La società esterna è così composita che, per poter essere un’azienda di successo ed intercettare la realtà circostante, bisogna coltivare la diversità in primis internamente. Avere dei gruppi inter-funzionali eterogenei consente di fare proprio questo, ma anche la formazione manageriale è essenziale. Un investimento imprescindibile, infatti, è quello che promuove la conoscenza della diversità che si ha attorno tra chi gestisce team. Solo cosi potrà poi farla sua ed integrarla in obiettivi e risultati comuni. Abbiamo fatto, ad esempio, delle sessioni sulle differenze generazionali, perché i manager che hanno nel loro team fino a cinque generazioni diverse devono saperle trattare in modo diverso: cosa vuol dire gestire oggi un ragazzo di 25 anni o una persona di 60? Abbiamo mappato le diverse caratteristiche generazionali per insegnare ai manager come prendere il meglio da ogni risorsa e soprattutto come farle dialogare tra loro. Quest’anno poi lavoreremo molto sui bias inconsci, perché è importante riconoscere che tutti abbiamo dei pregiudizi. La diversità e l’inclusione, così facendo, non sono quindi figlie di un manifesto d'intenti, ma diventano una strategia per massimizzare il capitale umano e dunque le performance della propria azienda. Tutto questo rappresenta un modello sostenibile sul lungo termine che ci ha sempre premiato.

Vi ha premiato anche nella capacità di risposta alla pandemia...
Assolutamente sì. Anche il nostro business è stato in parte impattato dalla pandemia, ciò nonostante abbiamo chiuso il 2020 con risultati positivi, questo anche perché siamo riusciti a gestire la crisi in modo molto agile. Per fare un esempio: dopo le linee guida condivise durante l’indimenticabile weekend del 21 febbraio, il 99% delle persone non è nemmeno dovuta ripassare dall’ufficio a recuperare attrezzature o altro, tutti avevano con sé l’occorrente per lavorare da remoto, come sempre. In Mars avevamo infatti introdotto lo smart working già nel 2009, pensando alla flessibilità come qualcosa da garantire a tutti, non solo alle donne, ma a chiunque per gestire al meglio la propria work-life balance. Poi, certo, i numeri ci dicono che le donne ne hanno tratto senz’altro maggiore beneficio. Non a caso abbiamo un organico composto per circa il 60% da donne, con un board al 44% femminile, contro medie in Italia ben inferiori. Esempi concreti? Le promozioni di manager capaci anche durante la maternità, ove si creino le giuste opportunità proprio in quel periodo. Il punto è sempre quello di favorire il merito e le capacità di tutti, ma proprio di tutti, nell'ottica di coltivare al meglio il talento che ognuno ha. Questo è compito dell'azienda, che deve collocare la persona nel ruolo e nel contesto migliore per esprimere le proprie doti e per crescere rispetto ai suoi desiderata. Quando si riesce a farlo, tutto questo si traduce automaticamente in ottima reputazione e in risultati di business concreti.

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