Customer experience instore: come mettere a fuoco le criticità

La relazione tra il personale dello store e il cliente può essere dirimente per la fidelizzazione. La soluzione è puntuale anche in uno scenario di rete (da Mark Up n. 273)

L’insoddisfazione di un cliente rispetto all’esperienza vissuta nel punto di vendita è uno degli elementi più pericolosi per il successo dello store. Infatti, nonostante si parli sempre più di customer experience online, quella che si struttura vis à vis lascia il segno perché i clienti vogliono dalle persone qualcosa di più di quello che possono ottenere da un bot. Nella costruzione della brand experience l’interazione con le persone è un momento chiave, soprattutto quando in gioco ci sono pain (esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole di tipo reale o potenziale) o gain (guadagno, vantaggio ottenuto in termini reali o potenziale) che sono la ragione stessa dello shop fisico. Inoltre, la creazione o distruzione di valore del brand è direttamente proporzionale al carico emozionale in gioco e le emozioni si giocano ed esaltano al massimo nella relazione diretta all’interno delle , strutture decentrate. Vero è che non tutte le aziende sono uguali e che la qualità e la quantità dei touch point di interazione diretta col consumatore varia molto in funzione del tipo di business e di brand. Prendendo in esame i grandi network di vendita nel retail, emerge che nonostante il grande investimento in pensiero, progettazione, comunicazione e orientamento, vi sia un margine discrezionale nel contesto puntuale che rende la gestione delle relazioni nel singolo punto di vendita un unicum, un cui le direttive globali devono necessariamente essere messe in atto nel qui ed ora puntuale. Ma come si interviene in quest’ottica? Un programma d’azione deve comprendere aspetti valoriali, ma sostenendo ogni volta in modo specifico il senso di appartenenza e di coinvolgimento, la motivazione e la solidarietà organizzativa necessari all’efficace azione relazionale del team. Su questo lavora il modello denominato Embed (Effective management branded experience delivered) che ha come punto di partenza la mappatura della rilevanza effettiva dei touch point nella costruzione del brand value attraverso l’approfondita discussione con i clienti di una semplice matrice. Solo così si può intervenire senza soluzioni standard: l’approccio non può essere un “se…. allora”, quanto un fine tuning in un contesto più olistico ed esperienziale (per il singolo attore e per il team). In questo modo è possibile orientare e sostenere l’efficacia dell’azione individuale e collettiva garantendo la flessibilità che il rapporto col cliente richiede e costruire un’esperienza di soddisfazione che, pur nella salvaguardia del branding, sostiene e tutela il più profondo valore della relazione: l’unicità. Raggiungere questo obiettivo non è affatto semplice. Un approccio “fine” e situato nel qui ed ora diventa necessario a causa della complessità della gestione delle relazioni sia intra-store sia verso i consumatori. E questo nonostante il necessario e sacrosanto investimento che ogni brand fa sulla brand experience e la customer experience, da una parte, sull’engagement e l’importanza dei valori, del team e della sua guida, dall’altra. Nelle strutture decentrate non sono sufficienti né la razionalizzazione dei processi né la formazione o qualsiasi altra pratica di progettazione, dal centro per tre ragioni:

1) La struttura decentrata non solo è lontana dalla testa, di regola si sente lontana, specialmente nella figura del suo capo, che si ritrova a dovere garantire l’applicazione di regole, procedure, strategie in un contesto che, non solo è specifico, ma spesso poco noto alla testa, la quale peraltro spesso non comunica con fluidità specialmente su questioni di dettaglio.

2) Le strutture decentrate sono mondi a parte. La filiale locale, lo store, l’agenzia, anche di una multinazionale molto strutturata abituata a lavorare con procedure e processi standard, prende localmente una forma propria, soprattutto in funzione del contesto in cui opera e delle persone che vi lavorano sempre a stretto contatto tra loro, giorno dopo giorno. Ne consegue che strategie, procedure, processi e linee guida vengono di fatto eseguiti in una situazione particolare e specifica e da persone specifiche, che hanno tra loro rapporti specifici e creano una microcultura organizzativa specifica, non operabile con le soluzioni standard, compresa la formazione.

3) Le situazioni di interazione diretta hanno variabili innumerevoli e non modellizzabili nella situazione specifica. Si pensi per esempio a un conflitto relazionale tra due receptionist: per risolverlo non basta richiamarsi al bene comune e alla differenza tra pubblico e privato, bisogna agire per fare emergere la pregnanza di valori e linee guida anche e proprio in quella situazione.

E quindi che fare? Il punto chiave è sostenere il capo nel suo rapporto col team (e viceversa). Un capo che abbia la capacità di creare comunità collaborative, fare crescere le persone e il team, aiutare e supportare con autorevolezza nelle criticità, può incrementare mediamente del 20% il valore del brand percepito dal cliente e le performance dello shop. Per migliorare queste prestazioni il sistema migliore è una sorta di coaching, insieme a un mix integrato di formazione e consulenza, nel contesto in cui le cose accadono e assumono la loro forma specifica. Nel prossimo articolo vedremo su quali fattori lavorare per costruite una customer experience instore di valore

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