Da network di vendita a store esteso

Il consumatore spinge verso l'integrazione e desidera spazi socializzanti a elevato grado di coinvolgimento. Questa la sfida per i retailer da uno studio di CapGemini (da Mark Up n. 265)

Nelle previsioni evolutive del settore retailing, si individuano molteplici trend che possono modularsi con diversi pesi rispetto ai settori e paesi presi in considerazione. Come denominatore comune del cambiamento vi è la necessità di far evolvere il punto di vendita in una dimensione che soddisfi  le aspettative del consumatore attuale. Consumatore che ha ormai assimilato e fatta propria l’esperienza dell’eCommerce, uno shopping iperprocessato, che non lascia nulla al caso, con però intrinseci limiti interattivi. La customer journey intesa come relazione cronologica del consumatore con il brand assume delle connotazioni di soddisfazione non solo nell’acquisto del bene, ma anche nella relazione complessiva che determina in ultima analisi la fidelizzazione. L’esperienza vissuta in modo positivo è infatti un elemento molto radicato rispetto alla mera fruizione di un prodotto o servizio ed è robusta rispetto all’attacco di altre proposte. Per questo e altri motivi il fattore chiave experience non può tralasciare nessun aspetto della customer journey, compresa quella che il consumatore vive nello store. Ma quali sono le sfide che il punto di vendita deve affrontare? Mark Up ha incontrato Emiliano Rantucci vp di CapGemini per fare il punto sulla situazione.
Entriamo subito nel vivo del tema. Oggi come si può portare il consumatore nel punto di vendita? Quali le migliori strategie del drive to store considerando che viviamo un era iperconnessa?
Per portare il consumatore nel punto di vendita è importante che questo diventi un luogo di socialità dove le persone possano passare dei momenti di convivialità e quindi, conseguentemente, consumare. A mio modo di vedere, oltre a concepire i format per lo scopo, la modalità più efficace per promuoverla è quella dell’utilizzo dei social network.  L’integrazione concettuale tra store interpretato come luogo di socialità e l’online sociale è quasi automatica e crea una comunità di appassionati che vive un senso di appartenenza. Da qui scaturisce una loyalty di lungo periodo facilmente convertibile in vendite. Il punto di vendita fisico per mantenere competitività deve essere iperconnesso, sociale negli spazi e coinvolgente.
Se questo è il punto di arrivo, attualmente, sotto quali aspetti il punto di vendita non riesce a soddisfare il consumatore?
Abbiamo svolto degli studi e l’ultima ricerca mette a fuoco elementi ricorrenti che il settore retail deve impegnarsi ad affrontare. In particolare il consumatore lamenta la difficoltà di comparare i prodotti presenti nel punto di vendita. All’interno delle categorie è difficoltoso effettuare una scelta nello store in quanto le caratteristiche non sono accessibile nella loro totalità e non esistono strumenti di raffronto.
Sotto questo aspetto può essere rilevante la preparazione del personale di vendita. Cosa manca alla fase di check-out attuale?
I pagamenti oggi contemplano molteplici formule e la flessibilità è stata notevolmente ampliata. Tuttavia il consumatore non è ancora soddisfatto delle tempistiche e non ama fare code alle casse, soprattutto memore dell’online.
E l’offerta? Anche in questo caso il confronto con l’online dall’assortimento pressoché illimitato non è facile.
Questo è un punto di criticità che deve essere affrontato in funzione delle caratteristiche del punto di vendita rispetto al contesto di rete in cui è inserito. Non tutto l’assortimento deve essere presente nel punto di vendita ma è importante che il consumatore possa accedere alla disponibilità in modo trasparente.
Rispetto a questi limiti, il confronto del negozio fisico rimane strutturalmente perdente. Su cosa investire nello store?
Sicuramente sul servizio essendo negli altri ambiti impossibile raggiungere gli stessi livelli di performance dell’online. E con servizi intendiamo consulenza, consiglio, personalizzazione, esclusività e altro.
L’online non è una minaccia per lo store fisico solo in ambito retail, ma anche nell’ambito industriale dove le aziende produttrici possono implementare una vendita diretta come è accaduto con il caffé...
Il sistema di filiera corta dove produttore e consumatore bypassano il retailer può essere insidioso per i canali commerciali ma non si adatta globalmente. Solo alcune nicchie di prodotto traggono un vantaggio determinante da questa modalità di vendita. Nell’agroalimentare comunque il contatto diretto tra produttore e consumatore è un aspetto
che gode di un elevato appeal. Il retailing tradizionale sta reagendo a queste insidie con prodotti a marchio privato iper-tracciati che mirano a dare la sicurezza della provenienza e della qualità al consumatore. La disintemediazione può essere una minaccia se declinata in logica assortimetale in quanto il punto di vendita è fisicamente limitato.
Il punto di vendita sarà sempre più un elemento di un network che può risolvere molte delle esigenze del consumatore facendo rete?
L’integrazione delle reti di vendita è un must irrinunciabile. Se un consumatore non trova il prodotto desiderato nel punto di vendita frequentato, lo store deve essere in grado di approvvigionarsi in real time con un altro della rete in cui il prodotto è disponibile. Tuttavia non è semplice integrare tutti gli store in rete in quanto spesso hanno una composizione eterogena che comprende succursali, filiali, franchising e altro.

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