Da Volkswagen a Apple: che sarà dell’automotive?

La recente vicenda di VW pone alcune domande sul futuro del settore dell'auto, alle prese con la minaccia di nuovi temibili competitor.

A settembre, dopo aver ammesso di aver frodato sui test antinquinamento negli Stati Uniti, la Volkswagen ha vissuto giorni di profondo sconvolgimento: il titolo ha perso un quarto del suo valore, i vertici, a cominciare dall’amministratore delegato, sono stati cambiati, alcuni manager sospettati di frode sono stati sospesi.

La Volkswagen è (o è stata?) uno dei leader dell’industria automobilistica mondiale, caratterizzata da un forte DNA: meccanica decisamente affidabile e design sobrio e riconoscibile (tra parentesi, fatto in Italia da Giugiaro).

Quando, vent’anni fa, Ferdinand Piech ne assunse la guida, Volkswagen aveva meno di due mesi di cassa; il nipote di Ferdinand Porsche ha speso la sua vita a ricostruire il DNA dell’azienda di famiglia. Non più tardi di questo settembre lo stesso Piech ha convinto la famiglia Porsche-Piech, (principale azionista dal momento della fusione tra Porsche e Volkswagen) ad indicare come candidato per la presidenza Hans Dieter Pötsch, capo della finanza, ponendo fine alle ambizioni di presidenza di Martin Winterkorn, CEO di Volskwagen dal 2007.

Secondo molti analisti, è proprio lo scontro di ambizioni tra Piech e Winterkorn che ha portato quest’ultimo a lanciare il piano che voleva Volkswagen il primo produttore di auto al mondo per il 2018, obiettivo per il quale è necessario avere una quota rilevante negli USA, e conseguentemente sottostare ai severi vincoli ambientali delle autorità americane, divenuti ancora più rigidi dopo la crisi del settore del 2008. La pressione per raggiungere un risultato (forse) troppo ambizioso in un tempo ridotto ha prodotto la frode.

Il resto è cronaca recente. Il successore di Winterkorn, Matthias Müller, arriva da Porsche ed è il candidato di Piech.

I fatti di settembre non avranno impatto solo sull’azienda tedesca, ma cambieranno con ogni probabilità la struttura e le prospettive dell'industria automobilistica. Negli ultimi anni si erano infatti già manifestati altri chiari sintomi del malessere del settore. La grave crisi di GM e Chrysler, messe in ginocchio dall’improvvisa fine del credito al consumo su cui avevano basato una crescita fatta di SUV, volumi e sconti. La ricapitalizzazione e l’ingresso dello stato francese e di Dongfeng, produttore cinese, in una Peugeot entrata in crisi per aver continuato ad investire sullo sviluppo di nuovi prodotti per il mercato europeo, nel quale il profit pool del settore era stato azzerato dalla crisi. I casi dei richiami imposti negli Stati Uniti a Toyota, Fiat-Chrysler e GM poi sono altri segnali evidenti.

Quale è la causa prima di questo malessere? Un fattore rilevante risiede nell’elevata intensità di investimenti richiesti da un mercato ipercompetitivo, a fronte dei quali l’industria non riesce ad ottenere ritorni sufficienti. Da questo ne consegue che le singole imprese, per cercare di ammortizzare gli investimenti, tentano vie sempre più audaci, programmano volumi sempre maggiori e tagli di costi sempre più incisivi. Questo sino a quando la pressione manageriale non genera errori o, peggio, aggiramento delle regole. Il settore dell’auto investe due miliardi di euro a settimana, aumentando costantemente la velocità del tapis roulant su cui corre sino a quando qualche corridore è costretto a cadere o truccare il tachimetro.

Il consumatore, per parte sua, ha dimostrato di non essere disponibile a pagare un prezzo più alto per il miglior contenuto generato dai maggiori investimenti e questo aumenta ancora la pressione sui costi e sulla ristrutturazione del settore nel suo complesso.

Quanto sopra spiega la strategia di Sergio Marchionne che qualche mese fa ha pubblicamente aperto una discussione sul futuro del settore e sulla imprescindibile necessità di un suo consolidamento, e ha saggiato la disponibilità di GM a seguire insieme a FCA questo percorso. La credibilità della soluzione proposta è supportata dal successo della fusione Fiat-Chrysler ed anche dalla strategia di presidio dei segmenti a maggiore valore aggiunto realizzata con Maserati ed Alfa Romeo.

Un’altra probabile evoluzione del settore è l’ingresso di nuovi concorrenti, in grado di farsi riconoscere un premium price e dotati della potenza di fuoco necessaria per superare le barriere all’ingresso e realizzare gli investimenti necessari. Questa prospettiva appare sempre più verosimile dopo lo scandalo Volkswagen, a fronte di regole sulle emissioni sempre più stringenti, che aumenteranno i costi di sviluppo e produzione dei motori diesel (e forse anche di quelli a benzina) e grazie alla sempre maggiore efficienza e affidabilità delle nuove tecnologie (auto elettrica, ibrida, ad idrogeno).

Sino ad un paio di anni fa sembrava incredibile, ma oggi è un fatto atteso a breve: l’entrata nel settore di Apple e di Google. Quanto è successo nell'industria della musica, della telefonia, del personal computing e dell’orologeria, rende estremamente interessante l’ingresso nell’automotive.

Theodore Levitt in “Marketing Myopia” ha definito il concetto di job to be done, poi formalizzato da Clayton Christensen, dicendo che il consumatore non vuole un trapano da un quarto di pollice ma un foro da un quarto di pollice. In termini di job to be done l’auto è un prodotto eccezionale, ci porta al lavoro in settimana, fuori città il week end, in vacanza d’estate, viene usata per spostare cose e persone, può essere un mero mezzo di trasporto o un’esperienza di guida emozionante. Ci sono pochi prodotti così versatili e con così tante applicazioni, forse l’unico altro esempio sono quelli a marchio Apple e le loro “applicazioni”.

Sarà interessante vedere come Apple utilizzerà la sua capacità di rendere ancora più duttile e consumer oriented un prodotto come l’auto che soddisfa già un’ampia gamma di bisogni.

Quale percorso il settore dell’auto intraprenderà non è facile prevederlo, ma è certo che sarà il DNA delle imprese a tracciarlo e i primi passi si vedranno nelle decisioni dei prossimi mesi di Volkswagen e dei suoi azionisti.

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