Dalla cultura di marca alla marca della cultura

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 274)

Abituati a lavorare per l’industria, a costruire immagine di marca per prodotti ripetibili all’infinito grazie alle macchine, possiamo definirci designer al servizio del mercato. Recentemente abbiamo avuto la possibilità di esprimerci in una sfida inconsueta: definire l’identità visiva di una grande operazione culturale, nella città della cultura per eccellenza. Chiamati a progettare l’immagine coordinata di Homo Faber, la prima grande
mostra dell’alto artigianato Europeo, ne è uscita una vera identità “di Marca”, dell’uomo e del suo saper fare, che ha dato un linguaggio comune a opere e artigiani che ancora oggi continuano a rappresentare la creatività dell’uomo e che dimostrano che ci sono ancora cose che gli esseri umani fanno meglio delle macchine. Venezia è riuscita ad unire, come nella sua storia, culture e maestrie diverse, dimostrando di poter essere ancora centro nevralgico di scambi e connessioni, facendo da garante come un grande brand culturale. Tutti hanno potuto apprezzare l’unicità di produzioni dimenticate, usate in modo
contemporaneo e che sono parte importante del patrimonio della vecchia Europa alla ricerca di una sua identità. Distratti dalla proliferazione di oggetti che ci circondano e che oggi tendono tutti ad assomigliarsi, potremmo rivalutare il bisogno di “Opere prime” che
l’alto artigianato è in grado di offrire, anche come nuovo stimolo per un’industria omologata. Picasso diceva “l’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità”. Nel nostro piccolo abbiamo risvegliato in noi quell’anima artigianale che alberga in ogni designer, cercando di portare la “cultura di marca” nei mestieri d’arte.

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