Data trend 2022: una carta d’identità alimentare grazie alla profilazione

Vi è sempre più consapevolezza sul valore dei dati nella digital transformation. Pensare ad una “Carta d’Identità di Internet” e a saper trarre beneficio dall’analisi dei micro dati è qualcosa che interessa sia singoli che aziende

“Municipality of Internet” è l’etichetta che il trio di designer Ferdinando Esposito, Giuliano Guarini e Riccardo Breccia, host del video-podcast “Caffè Design” assegna al primo di nove trend che, dal loro punto di vista, caratterizzeranno il 2022. Con questa espressione si vuole fare riferimento al fatto che ormai la rete – nello specifico dei soggetti privati che si muovono online, come possono essere grandi big tech quali Apple o Google - sono in possesso di dati relativi agli utenti che sono dettagliati a tal punto da essere quasi inconsapevoli agli utenti stessi. Si tratta principalmente di abitudini e preferenze che però arrivano a delineare un profilo molto completo, tanto sa essere spendibile in termini di business. Il paradosso emerge se si pensa che una tradizionale carta d’identità (e forse in misura più completa quella elettronica, ma nemmeno più di tanto), con le poche informazioni che contiene (altezza, colori occhi, ecc.) abilita sostanziali funzioni (come l’identificazione per viaggiare, ad esempio) per cui è l’utilità e la potenzialità sono conclamate ed evidenti a tutti. Non vi è, invece, pari consapevolezza – specie dagli utenti finali, non addetti ai lavori, su come queste sorte di “carta d’identità di internet” sotto forma di liste – in alcuni casi clusterizzati per settori – che le big tech possiedono. Apple e Google (quest’ultimo con il profilo che propone agli inserzionisti), di fatto, hanno reso noto – tramite dei “privacy report” quelli che sono i dati di cui hanno bisogno per fornire i servizi.

Molto interessante, in questo contesto, inoltre, l’esempio che Esposito, Guarini e Breccia riportano in riferimento al mondo del food: la Carta d’Identità Alimentare (MyCIA) si presenta come “il primo documento digitale che racchiude le tue esigenze alimentari” ideato, già prima dello scoppio della pandemia, da un team di dietisti italiani e collegato ad un database che racchiude migliaia di alimenti diversi, e pensata per aiutare le persone con particolari esigenze alimentari. Gli stessi ristoranti possono registrarsi e ricevere alcuni servizi che contribuiscono ad espandere la clientela, monitorare la propria attività e mettere in campo una comunicazione ufficiale. Lato utente, la Carta d’Identità Alimentare potrà, per esempio, essere condivisa con il proprio ristoratore di fiducia, o con la struttura alberghiera scelta per trascorrere le vacanze e, in generale, si potrà esibire ogni volta che si decide di mangiare fuori.

© https://www.cartaidentitalimentare.com/

La questione è che se relativamente ai dati in senso stretto vi sono diversi livelli controllabili di accesso ai dati (SPID ne è un esempio), ma non vi è ancora una simile possibilità per quelli che sono i caratteri comportamentali in termini di interessi, preferenze e abitudini che vengono tracciati, come sopra ribadito, da privati. La possibilità da parte dell’utente finale di controllare in prima persona queste specifiche – nell’ottica di una “Municipality of Internet” – rappresenterebbe un passo verso un empowerment per l’utente, magari gestito in maniera “neutra” su blockchain, per avere il controllo sulle informazioni che vengono condivisi in rete di volta in volta, sulla base del principio proprio alla blockchain della “Self sovereign identity”. Di fatto, un profilo di proprietà dell’utente, decentralizzato, e non di terzi.

In termini generali, quindi, quest’ambito potrebbe essere fertile per tecnologie e soluzioni più user friendly, con delle visualizzazioni/rappresentazioni più leggibili e chiare in termini di privacy.

Inoltre, è interessante menzionare come, tra i data trend del prossimo futuro, da accostare a quanto fin ora descritto, ci potrebbe essere una rinnovata attenzione particolare agli Small Data (micro dati). Si sente, sempre, parlare di Big Data, questi quasi sconfinati volumi di dati gestibili solo tramite macchine, che però in certo senso rimangono sempre incompleti se presi in considerazione da soli. Per di più, lo stesso utilizzo di sempre più diffuso di Intelligenza Artificiale (AI) e Machine Learning (ML) permette anche di fare leva sui vantaggi legati all’analisi dei Small Data e sul dettaglio che ne deriva. Quest’ultimi possono, infatti, essere definiti come un ecosistema di piccoli dati che aiutano a comprendere la società per creare esperienze iper-personalizzate per i propri clienti, così da comprenderne, con riferimento a finestre temporali ridotte, il sentiment nei confronti di un prodotto o un servizio.

Martin Lindstrom, columnist del New York Times e Wall Street Journal, nel suo libro “Small data, i piccoli indizi che svelano grandi trend. Capire i desideri nascosti dei tuoi clienti (Hoepli, 2016) ne parla come “un amalgama di gesti, abitudini, gusti, esitazioni, tic linguistici, scelte di arredamento, password, tweet, aggiornamenti di stato e molto altro”. La sfida, qui, è sempre rintracciabile in un uso armonico di questi dati in conformità ad esigenze di privacy che diventeranno sempre più stringenti, anche solo pensando ad una maggiore consapevolezza degli utenti relativamente al valore dei propri dati.

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