De Noia: La necessità di fare rete verso il Green Deal europeo

Biologico
Intervista al nuovo presidente di Anabio, che guarda alle nuove possibilità del biologico e allo sviluppo dei Distretti territoriali

Chiamato alla guida di Anabio-Cia per i prossimi quattro anni, Giuseppe De Noia ha tra i suoi programmi una serie di progetti per arrivare agli obiettivi del Green Deal 2030 europeo, che ha come target il 25% dei terreni italiani coltivati a biologico. Il nuovo presidente di Anabio, l’associazione per il biologico promossa da Cia-Agricoltori Italiani, è imprenditore pugliese, di Terlizzi, ha 51 anni e si dedica a questo lavoro fin da giovanissimo. Dirige un’azienda olivicola e vitivinicola in conduzione biologica e certificata a cui affianca la coltivazione di ciliegie e fiorone Domenico Tauro, prodotto tutelato in biodiversità.De Noia

Come è posizionata l’Italia rispetto agli altri Paesi europei per l’agricoltura biologica?

Abbiamo il 17% dei nostri terreni agricoli coltivati a biologico, per raggiungere l’obiettivo che ci chiede l’Europa dovremmo passare dai 2,2 milioni di ettari attuali a 3 milioni. Non è difficile, siamo avvantaggiati rispetto agli altri, ma in un momento di crisi occorre facilitare le imprese a livello normativo e sostenerle in questo percorso.

Che ruolo ha il biologico Made in Italy nei futuri investimenti istituzionali?

Nei prossimi cinque anni saranno investiti quasi 3 miliardi di euro nel biologico. Dovranno dare la spinta per una ulteriore crescita del settore, soprattutto in una fase come questa con i rincari dell’energia e l’inflazione alta. In questo quadro le aziende hanno gravi ripercussioni sui costi, e allo stesso tempo vedono mutare la domanda con i consumi domestici di biologico scesi per la prima volta (-0,8%) nell’ultimo anno. Ecco perché è fondamentale che gli investimenti insistano sul biologico Made in Italy - che oggi supera i 5 miliardi di euro in valore - attraverso strumenti strategici di coesione come i Distretti e le Filiere bio. È importante fare rete e che sia promosso il valore del della biodiversità nel consumatore, anche a livello di sostenibilità.

Che ruolo hanno i Distretti in questo quadro?

È il momento di fare rete, con le istituzioni, le associazioni del settore e con le aziende agricole di tutto il territorio nazionale, così come bisogna rinvigorire e massimizzare le sinergie tra Anabio e le altre realtà promosse da Cia, quali ad esempio Turismo Verde e la Spesa in Campagna, anche per rispondere alla crescita dei nuovi canali di vendita (+5%) come i mercatini.

La politica dei distretti porta risultati a livello industriale e distributivo?

Ci sono vari distretti tipi di Distretti. Ad esempio con la mia azienda e altre aziende abbiamo costruito una forma di Distretto che può essere mutuata in tutta Italia, poiché lo abbiamo edificato sulla grande esperienza di una OP (Organizzazione di Produttori) olivicola, cui fanno riferimento nove cooperative di produzione e trasformazione di olive in olio extravergine di oliva. Attraverso il Distretto siamo riusciti a dare valore aggiunto alle produzioni perché abbiamo sviluppato le realtà legate al territorio e questo ci ha consentito di entrare nella grande distribuzione con Esselunga ed essere gli unici fornitori di Alce Nero, una delle più grandi eccellenze del bio.

Ha fatto notare come al Sud ci sia una maggiore diffusione dell’agricoltura biologica, mentre gli acquirenti nella gdo sono soprattutto nelle regioni settentrionali. Perché?

È evidente secondo le analisi ISMEA che nel Sud Italia è sviluppata molto l’agricoltura biologica soprattutto in Sicilia e Calabria, ma i consumi sono maggiori al Nord. Si tratta sicuramente di una diversa sensibilità del consumatore, ma anche una questione di reddito. Tra i giovani imprenditori in particolare la volontà di rinnovarsi nel biologico è significativa, e quindi al Sud le nuove imprese investono in questo ambito. Tuttavia per il consumo si tende a spendere quello che si può, preferendo il convenzionale, senza considerare la qualità e l’importanza che hanno le filiere biologiche nella salvaguardia dell’ambiente e nella valorizzazione del paesaggio, del territorio in cui tutti viviamo.
Secondo il rapporto ISMEA tuttavia anche se i prodotti biologici sono maggiormente coltivati a Sud, i pochi che sono coltivati a Nord hanno una maggiore redditività. Perché?
Sicuramente sono facilitati nelle esportazione, prima di tutto per logistica e vicinanza ai mercati europei. Sotto questo punto di vista al Sud si sta lavorando sulle ZES (Zone Economiche Speciali) per avere la possibilità di far arrivare al Nord le produzioni bio e dare nuove possibilità di sviluppo delle aziende agricole del Sud.
Una prospettiva che si sta aprendo anche per le produzioni in ascesa come il florovivaismo biologico, verso cui c’è sempre più attenzione da parte di Paesi come Danimarca e Finlandia.

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