Deloitte Private delinea i rischi della guerra

Deloitte individua nella super-inflazione e nelle supply chain intermittenti i più gravi impatti della guerra in Ucraina. Danni seri per le aziende italiane

Le tensioni e le incertezze generate dal conflitto russo-ucraino stanno disegnando un nuovo e non rassicurante scenario globale con impatto sull’attività economica difficilmente interpretabile e che si sta manifestando attraverso uno shock di offerta. “Il Governo ha quantificato l’impatto del conflitto in una riduzione della crescita del Pil nel 2022 dal 4,7% al 2,9% e nel 2023 dal 2,8% al 2,3% -afferma Ernesto Lanzillo, responsabile Deloitte Private-. Il quadro naturalmente è in continua evoluzione, ma due sono gli elementi principali da tenere in considerazione: le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e l'interruzione delle catene di approvvigionamento delle stesse”.

Evidenti le ripercussioni sul tessuto economico italiano, in gran parte dovute all’aumento dei prezzi dell’energia, dato che Russia, Ucraina e Bielorussia ne sono tra i principali fornitori mondiali, con conseguente crescita dei costi di produzione. “Secondo le stime di Confindustria, i rincari di petrolio, gas e carbone determinano per l’economia italiana un aumento dei costi di produzione del 77%, che in euro significa una crescita della bolletta energetica di 5,7 miliardi, su base mensile, e circa 68 miliardi su base annua -prosegue Ernesto Lanzillo nel commentare lo studio di Deloitte Private-. Le imprese, in prevalenza, hanno assorbito questi aumenti comprimendo i margini e differendo gli investimenti, mitigando l’impatto sulle fasi successive della filiera produttiva. Questo, però, non è sostenibile nel lungo periodo e ciò sta portando alcune imprese a ridurre o addirittura sospendere la produzione o a programmare di farlo nei prossimi mesi”.

Aumenti di materie prime e prezzi fonti energetiche

Un ulteriore impatto della crisi geopolitica è rappresentato dal rischio di interruzione delle catene di approvvigionamento. La guerra sta peggiorando le difficoltà nel reperire materie prime e materiali, in particolare quelli provenienti dei territori coinvolti nel conflitto e che rappresentano gli input nelle catene globali del valore. “Come emerge dall’analisi degli economisti di Deloitte -spiega Lanzillo-, le difficoltà sopraggiunte nel reperire le materie prime e alcuni materiali hanno innalzato i prezzi di riferimento del primo bimestre 2022, relativamente non solo a fonti energetiche, ma anche a frumento e mais, olio di girasole, fertilizzanti, nichel, alluminio, palladio e rame, argilla bianca, con impatto deciso sull’industria agro-alimentare e il made in Italy della manifattura. Tali criticità da carenza di offerta delle materie prime sono accentuate anche dallo status della supply chain globale che subisce lo stress causato dall'aumento della domanda di beni in un contesto di tensione delle catene logistiche di trasporto indotta dalla pandemia”.

Gli effetti di tale crisi a livello globale sono disomogenei tra aree geografiche e settori, e questo dipende dalla vicinanza al conflitto, dalle dipendenze delle produzioni, dai tipi di materia prima e altre commodity e, in generale, dalle connessioni produttive e finanziarie con i paesi direttamente coinvolti nella guerra.

Il peso strategico della Russia nell'import energetico

L’Unione Europea è una delle aree più colpite -aggiunge Ernesto Lanzillo, responsabile di Deloitte Private-. Pur rappresentando solo il 4,8% del commercio dell'Ue, la Russia pesa fortemente nel settore energetico con il 40% delle importazioni di gas, il 25% delle importazioni di petrolio e il 47% dei combustibili solidi importati. Per l’Italia, il gas russo rappresenta il 38% del consumo, se si dovesse concretizzare una interruzione completa della fornitura di gas russo, si verificherebbero colli di bottiglia in diversi Paesi europei, incluso il nostro, derivanti da difficoltà nella distribuzione di fonti di energia alternative”,

Considerando le sanzioni e i rapporti commerciali con la Russia, molte imprese straniere private si sono ritirate o hanno annunciato di sospendere le proprie operazioni in Russia. Tuttavia, Francia (68%) e Italia (64%) si trovano sul podio con percentuali di “non disimpegno” dalla Russia, molto vicine a quelle cinesi (75%) e più elevate rispetto a quelle tedesche (46%). In generale, però, le sanzioni alla Russia per l’export italiano avrebbero un impatto diretto complessivamente modesto. Infatti, il blocco riguarda 686 milioni di euro di vendite in Russia, ovvero l’8,9% dell’export italiano nel paese, il quale a sua volta rappresenta solo l’1,5% del totale dell’export italiano.

In questa situazione resta della massima importanza l’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) -conclude Lanzillo-. Al netto di tutte le difficoltà presenti e future, infatti, l’Italia con il Pnrr dispone di uno strumento senza precedenti per rafforzare e far crescere tutta la sua economia e le sue imprese, riducendo la dipendenza energetica dalla Russia e creando le basi per una proiezione internazionale del made in Italy sempre più dinamica, innovativa e in grado di evolvere con il contesto”.

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