Denatalità e qualità del lavoro: due facce della stessa medaglia

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Un lavoratore su 3 vorrebbe avere uno o più figli, ma non ha nell'azienda un supporto adeguato dal punto di vista economico, organizzativo e culturale

È vero, in Italia si fanno pochi figli e non si tratta di un mero calo fisiologico come quello che avviene sempre quando lo sviluppo economico di un Paese accelera e il benessere aumenta. Nel nostro caso siamo sotto media anche rispetto a nazioni a noi equivalenti, proprio come sotto media Ue sono i nostri stipendi, la work-life balance (lavoriamo più ore dei tedeschi, al contrario dei cliché) e i servizi offerti alle famiglie con bambini (6 su 10 non hanno accesso al nido, per fare solo un esempio).
Parliamo dunque di un fenomeno tanto importante quanto dalle cause molto lineari e logiche, che richiede certo l'intervento del Governo (la terza edizione degli Stati Generali della Natalità è in corso mentre scriviamo), ma che vede coinvolte in primo piano anche la stragrande maggioranza delle imprese.

Le aziende non sono allineate alle esigenze dei lavoratori

Ci sono persone che di figli non ne vogliono e hanno meno timore di un tempo a dichiararlo. Una scelta sulla quale non è ovviamente lecito intervenire, dato che non ci troviamo, almeno per ora, in un regime distopico. C'è però tutta una fascia di persone che i figli li vorrebbe, o che magari ne vorrebbe più d'uno, ma ha come principali ostacoli gli elementi sopra citati, economico in primis (e con l'inflazione attuale il problema non può che acuirsi). Una conferma netta e chiara arriva dalla ricerca presentata da Plasmon “Le aziende e la natalità: le azioni per sostenere genitori lavoratori”. Secondo l'indagine, 1 lavoratore su 3 (31,5%) vorrebbe allargare la propria famiglia, ma il 64% non riesce a bilanciare vita professionale e privata. Il 41% circa afferma, addirittura, di percepire che venga richiesto loro di mettere il lavoro prima della famiglia, lavorando più ore rispetto a quanto contrattualizzato o sentendosi obbligati ad accettare promozioni e trasferimenti per non mettere a rischio le proprie possibilità di carriera. Solo il 35% circa dei collaboratori valuta che sia facile bilanciare lavoro e vita familiare, trovando i manager solidali nei confronti delle responsabilità genitoriali dei dipendenti. A livello generale, invece, il 53,1% dei lavoratori afferma che la sua azienda non risponde o risponde solo in parte alle esigenze dei genitori.
Sul fronte del welfare, il 23,5% delle aziende prevede soltanto un'iniziativa e il 26,1% non ne prevede nemmeno una, ma il dato forse più rilevante è che, anche chi sembra impegnarsi di più in tal senso, non lo fa con rilevanza rispetto alle reali esigenze dei lavoratori (molto marketing e poco arrosto, insomma). In prima posizione tra le richieste, ad esempio, c’è l’orario di lavoro flessibile, richiesto dal 73,8% dei dipendenti (ma adottato solo dal 36,9% delle imprese), a seguire i permessi retribuiti per le visite mediche dei figli, giudicati utili dal 70,8% dei rispondenti (e messi in campo dal 28,6% delle aziende), e i check-up per lo stato di salute (considerati utili dal 68,6% dei lavoratori e adottato dal 22,9% delle imprese). Quarto e quinto posto di questa speciale classifica sono occupati da asili aziendali (66,3% vs 8,3%) e congedi genitoriali più estesi (65,3% vs 14,8%).
Una situazione complessiva che le aziende non devono sottovalutare. Si è finalmente capito (forse) che fare figli non è una mera scelta privata, ma ha un impatto sulla collettività, della quale gli stessi datori di lavoro fanno parte. Il tema, tuttavia, è cruciale anche perché si lega a quello del capitale umano dell'azienda e dei talenti. Non è un caso che le grandi dimissioni siano seguite a un periodo di pandemia durante il quale molte persone hanno capito che una vita familiare di qualità è fonte primaria di benessere.

Il caso Plasmon

Oltre a presentare la ricerca menzionata sopra, Plasmon ha annunciato l’ingresso nel progetto di Chicco, confermando così l’impegno di entrambe le aziende, insieme a tutte le altre che si stanno unendo alla piattaforma Adamo, nell’identificare soluzioni per creare le condizioni migliori, sul luogo di lavoro, volte sostenere concretamente la genitorialità. Entrambe le realtà hanno iniziato un percorso in questa direzione con iniziative a supporto della genitorialità in azienda, ad esempio i 60 giorni retribuiti al 100% nel congedo parentale richiesto dalla figura secondaria nell’accudimento del bambino, messi a disposizione da Plasmon, oltre ai 10 giorni retribuiti previsti per legge.
Come rileva Konstantinos Delialis, managing director Kraft Heinz Italia/Plasmon, è essenziale "agire all’interno delle organizzazioni con strumenti concreti sulla base delle esigenze espresse direttamente dai lavoratori, quali la flessibilità e congedi parentali inclusivi. In Plasmon, oltre a garantire i 60 giorni di congedo al secondo genitore, offriamo anche una settimana corta di 4 giorni alle madri di ritorno dalla maternità, in entrambi i casi con retribuzione al 100%. Sono dei primi passi, ma stiamo già lavorando al rafforzamento delle nostre parental policies per garantire un ambiente lavorativo a misura di tutti”.

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