Dietro alla Union Jack l’essenza britannica

con il contributo di Elena Giordano

Adesso che Dio ha salvato l'Union Jack è il caso di ripetere molto rumore per nulla. O, forse, non proprio nulla. L'Union Jack, la bandiera bianca-rossa-blu del Regno Unito è fortemente evocativa di un mood che caratterizza l’intero Paese. Agli occhi degli italiani e degli europei, infatti, quella bandiera è il simbolo di un Paese che abbina il conservatorismo al progresso e alla non convenzionalità. Questo è il parere di Manfredi Ricca, Managing Director di Interbrand Italia. Che aggiunge: “Essere inglesi significa, ai nostri occhi, da una parte essere legati alla monarchia, con un attaccamento alla tradizione forte e radicato, dall’altra riuscire a dar vita a elementi di rottura come i Sex Pistols, i Clash, il punk, insomma”. Un brand value che è stato valutato 2,4 miliardi di dollari americani dalla società di consulenza BrandFinance, che gli ha attribuito un rating AA e un indice di crescita annuo di 8 punti percentuali. Per avere un'idea: poco meno di 1,5 volte il valore intangibile del made in Italy e paragonabile, invece, agli intangible di Elisabetta II. Qui però esiste anche una cifra a bilancio: il warranty emesso dalla Casa Reale e utilizzabile commercialmente al momento da circa 800 imprese raccoglie nel mercato 4 miliardi di sterline. Un dato simile non è recuperabile al centesimo per la bandiera, non essendoci un titolare generale di gestione della licenza.

I valori dell'Union

L’unicità che la bandiera trasmette è quella dell’unione: non l'unione appena riconfermata dagli scozzesi e neppure quella delle Corone che sta alla sua base. Ad attrarre oggi è la sua capacità di trasmettere l'unione tra rispetto delle tradizioni e progressismo, che pochi altri Paesi riescono a comunicare; l’Italia, tipicamente, ha l’atteggiamento inverso, ossia del Paese che si mostra innovatore rimanendo, in realtà, a tratti conservatore. Questo connubio tradizione-cambiamento viene sposato da diversi settori merceologici, capaci di interagire con un pubblico variegato, che va dal giovanissimo alla persona con uno status elevato. Attenzione, però: il “trick”, cioè la trasmissione – efficace e coerente - del mondo di riferimento della Union Jack non può essere traslata in maniera forzata. La bandiera valorizza un servizio, un oggetto, solo se il brand dell’azienda è già allineato con l’inglesità. Essendo l’autenticità (del marchio, dei suoi valori) uno dei criteri guida per l’acquisto dei consumatori contemporanei, diventa facile intuire quanto poco risulterebbe appealing una felpa con la decorazione della bandiera britannica proposta da una marca di abbigliamento tipicamente italiana.

Dove vince l'inglesità

I settori nei quali l’inglesità vince, e la bandiera diventa un’icona effettivamente capace di catturare il gusto del consumatore, sono, secondo Ricca, quattro: “Innanzitutto l’automotive. Qui sono presenti brand come la Mini che, anche se ormai completamente tedesca, mantiene forte la sua identità inglese, al punto da lanciare un modello con la Union Jack come livrea. La Mini – la vettura delle rivendicazioni sessantottine - ‘convive’ con marchi come Aston Martin o Rolls-Royce, icone che fanno della stabilità nel tempo il loro punto di forza. Questo è lo spirito inglese”.

Un altro settore emergente e fortemente evocativo è quello dell’alta cucina, seguito dall’ambito finanziario. C’è poi un ultimo settore, molto particolare, che è quello della moda. “Si pensi al brand Burberry, uno dei più antichi, classici e tradizionalisti. Bene, Burberry è riuscito a sintetizzare il British message del 20° secolo. Lo sguardo sempre rivolto al passato è stato allargato al futuro, grazie anche all’ingresso di manager visionari come Angela Ahrendts. Oggi il marchio mostra al mondo la Britishness contemporanea, non rinunciando alla sua storia”, conclude Ricca.

Mini_Britain Mini_UK

Nel film The Italian Job il valore simbolico della bandiera è talmente elevato che le tre Mini protagoniste ne riportano solo i colori. Potendone guidare soltanto una alla volta, ai consumatori viene offerto in vendita il più esplicito adesivo per tetto e/o specchietti

 

Utilizzo commerciale dell'Union Jack

Va distinto se per “utilizzare” s’intende “usare come marchio senza registrazione” o più specificamente “adottare e registrare come marchio”. In ogni caso, non vi sono particolari problemi nei casi in cui la bandiera sia usata come elemento sostanzialmente “decorativo” sul prodotto o sia utilizzata all’interno di un marchio – non registrato – in associazione ad altri elementi denominativi o grafici.

Ugualmente, non dovrebbero verificarsi problematiche nel caso in cui s’intendesse registrare un marchio nel quale sia inserita la bandiera inglese. In questo caso, è meglio che la bandiera sia associata a un altro elemento, verbale o figurativo. In caso contrario, contestualizzando il discorso in Italia, è più che probabile che l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi rifiuti la registrazione di un marchio composto dalla sola bandiera inglese. Infatti, l’uso e la registrazione di alcuni segni sono di norma riservati a certi enti o amministrazioni. Si tratta ad esempio dei segni considerati nelle convenzioni internazionali, i simboli, gli emblemi e gli stemmi di interesse pubblico o con significazione politica o alto valore simbolico, tra i quali rientrano anche le bandiere in genere (cfr. art. 10 “Stemmi” del Codice di Proprietà Industriale).

Esistono tuttavia numerosi casi in cui marchi contenti bandiere vengono concessi - o usati - e considerati validi, ma si tratta per lo più di casi in cui, a prescindere dalla bandiera, c’è una più o meno complessa connotazione grafica o una “parte denominativa avente carattere distintivo”.

Infine, l’uso di bandiere all’interno di marchi deve anche essere analizzato sotto il profilo della liceità. In pratica, la presenza di una bandiera all’interno di un segno distintivo non dovrebbe essere tale da conferire al marchio un messaggio ingannevole per il pubblico di riferimento circa la provenienza, la natura o la qualità dei prodotti o servizi contraddistinti (art. 14 “Liceità e diritti di terzi”, comma 1, lett. b) del Codice di Proprietà Industriale).

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome