Diversity&inclusion aumentano ricavi e brand reputation

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Lo studio condotto da Gea Consulenti sulla diversity&inclusion è stato presentato in occasione del convegno “Inclusività competitiva”

L’inclusione è redditizia. A rivelarlo uno studio condotto da Gea Consulenti con la partnership di Gc Governance Consulting, Focus Management, Fondazione Diversity e Valore D, presentato durante il convegno “Inclusività competitiva” organizzato da Eccellenze d’Impresa. Secondo quanto emerge dalla ricerca, infatti, diversity&inclusion sono punti essenziali per le imprese che possono garantire una certa solidità economica che si traduce in aumenti dei ricavi stimati fino al 30%. Inoltre, la spinta propulsiva alla brand reputation si traduce in performance di mercato più elevate, come conferma anche Luigi Consiglio, presidente di Gea, in apertura del convegno, che sottolinea: “La capacità di lavorare sinergicamente sull’inclusione sia internamente che esternamente rappresenta un vantaggio competitivo per le imprese”.

Da sei anni Focus Management e Fondazione Diversity misurano l’impatto delle scelte D&I dei brand e delle aziende sul consumatore e sulle sue scelte. Secondo quanto emerso dall’ultima rilevazione, un brand attivo in tal senso viene percepito come migliore, aumenta la sua reputazione e il consumatore accresce la propria fiducia. Strettamente correlata, quindi, è la crescita dei ricavi che supera il 21% per quelle realtà impegnate nei temi D&I, proprio perché 7 persone su 10 parlano bene dei brand percepiti come inclusivi.

L’inclusione delle donne

Diversity&inclusion significa anche quote rosa e parità di genere in una società nota per i gender gap nel mondo del lavoro. E se equità in termini di posti tra uomini e donne è la base, la comprensione che una leadership femminile sia equamente competente rispetto a una tradizionalmente (in senso negativo) maschile è il punto d’arrivo. “Monitoriamo costantemente i vertici delle 37 aziende rappresentate in Borsa, le 37 aziende italiane a maggior capitalizzazione -commenta Patrizia Ghiazza, partner di Gc Governance Consulting-. Tutti gli amministratori delegati sono uomini, ormai da decenni. Quando la classifica si muoverà in modo consistente, potremo dire di aver fatto un buon lavoro”. Anche Veronica De Romanis, docente di politica economica alla Stanford University e alla Luiss commenta, dati alla mano: “Dal 2019 al 2021 l’Italia è peggiorata: le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi e spesso rimangono intrappolate nel cosiddetto part-time involontario”.

Includere è vincere

Sempre di più la società parla di innovazione come punto di approdo per una società completa, efficiente, autonoma e sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico. Innovazione tecnologica, sì, ma introdurre elementi di diversità all’interno delle aziende è una scelta competitiva: il diverso genera innovazione che a sua volta porta profitti anche economici. A sottolinearlo durante il convegno è anche Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D, ma anche Francesca Vecchioni, presidente della Fondazione Diversity e attivista del settore: “La competitività è collegata all’innovazione, e sappiamo che questa ottiene una spinta eccezionale nelle aziende inclusive”. E in un mondo del lavoro che sta accogliendo i primi membri della Gen Z, attenta a tematiche sociali delicate molto più di altre generazioni, “vince chi comprende che saper parlare in maniera inclusiva è un’espressione chiara dell’identità del brand”, conclude la Vecchioni.

Secondo Pietro Iurato, Hrd Head Emea di Sap il digitale ricopre un ruolo di facilitatore dei percorsi di diversità e di inclusione, per questo è importante spingere verso la digitalizzazione delle aziende anche in questa ottica. "Noi facciamo uso di analytics che ci danno la composizione demografica dell'azienda in tempo reale -spiega-, allo stesso modo le abbiamo per tracciare le dimissioni e le loro cause".

Accessibilità

A destra Paola Angeletti, Coo di Intesa Sanpaolo - A sinistra Marilù Capparelli, legal director di Emea

Per realtà come Google è fondamentale ritenersi responsabili nei confronti della diversità come dell'inclusione, valori che rappresentano una sfida al business aziendale. A raccontarlo Marilù Capparelli, legal director di Emea. "Crediamo veramente che per adempiere bene alla nostra missione che è 'organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili e utili', dobbiamo essere una rappresentazione degli utenti che serviamo. Quando diciamo che vogliamo costruire per tutti, intendiamo tutti", spiega.

Anche Intesa Sanpaolo ha portato il propri living case, raccontato da Paola Angeletti, Coo: "Nel 2020 abbiamo presentato in Cda, nel bel mezzo alla pandemia, un documento che riassume quali sono i nostri principi in ambito di diversity&inclusion e il nostro impegno. Il nostro Cda non solo l'ha approvato, ma ci ha anche stimolato a fare sempre di più. I nostri principi si basano sul rispetto della persona e sul merito, oltre che sull'accessibilità allo sviluppo professionale personale in modo equo". La Coo aggiunge poi: "Non possiamo permetterci di rinunciare ai talenti perché non applichiamo le logiche di D&I".

Cariche aziendali: head of diversity&inclusion

Alcune aziende hanno compreso talmente bene le potenzialità anche per la propria crescita della diversity&inclusion da introdurre delle figure specializzate. È il caso, per esempio, di Fastweb, la cui case history è stata raccontata da Luciana De Laurentiis e la cui carica è proprio head of corporate culture & inclusion. “Per la prima volta nella storia convivono oggi al lavoro almeno quattro generazioni diverse -racconta-. Benché ciascuna generazione sia caratterizzata da alcuni diversi approcci al rapporto con il lavoro, l'ambizione, il futuro, è necessario andare oltre le classificazioni e generalizzazioni. Resta importante mantenere attivo un approccio alla unicità della persona”. Secondo De Laurentiis l'ageismo è la discriminazione più democratica, "E' importante focalizzarci sulla Gen Z, la prima generazione che ha detto no al parametro dell'efficienza".

Nilufer Demirkol ricopre il ruolo di head of diversity and inclusion in Nestlé. Durante il convegno, tra le altre cose, ha declinato il discorso verso un metodo di lavoro sviluppato dalla multinazionale che fa bene a tutti: “La creazione di un ambiente di lavoro, remoto, in loco o ibrido, che offra a tutta la nostra forza lavoro pari opportunità di migliorare il proprio benessere è il fondamento di un'organizzazione veramente inclusiva”.

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