Dopo il Covid-19 il packaging diventa media e racconta la tracciabilità

Un packaging che si evolve nuovamente e diventa sempre più data driven e veicolo narrativo per il consumatore. È questa la principale evidenza che emerge dalla presentazione del 3° Osservatorio Out-of-the-box presso la sede di Nomisma, che ha visto tra gli organizzatori Roberta Gabrielli, Project Manager Nomisma e Furio Camillo, docente di Statistica economica dell’Università di Bologna e responsabile scientifico dell’Osservatorio. “Packaging as a software and as a media”, dunque, come lo definisce Paolo Iabichino, Creative Director che ha firmato la piattaforma “Out of the box”, oggi anche Osservatorio – grazie a Nomisma e Glaxi – per indagare la relazione tra il consumatore italiano e “la scatola”.

La tracciabilità è lo strumento in grado di supportare la verifica delle certificazioni dei prodotti di qualità per 'scardinare', tra gli altri, gli scandali alimentari. Alla base di questo nobile obiettivo c’è la digital transformation, l’abilitatore di un cambio di paradigma, capace di fornire con tempestività alla filiera e ai consumatori l’insieme di informazioni necessarie a comprendere la provenienza e avere garanzie su sicurezza e qualità del prodotto.

Ma cosa accade se le imprese decidono di non intraprendere questo percorso? Si lascia spazio alla contraffazione, un reato economico in grado di danneggiare l’economia mondiale e che nel 2016 ha visto in Italia l’importazione fraudolenta di merci contraffatte per 12,4 miliardi di euro. Ad essere violato è anche il Made in Italy, nel 2016 è stato di 31,7 miliardi il commercio mondiale di prodotti contraffatti che violano i marchi registrati italiani in particolare negli ambiti abbigliamento, elettronica di consumo e agrifood.

La soluzione risiede nell’educazione del consumatore alla scoperta, grazie ad un pack che è sempre più uno strumento di comunicazione. Di fronte a situazioni di questo tipo è importante creare un link forte tra sostenibilità del prodotto, tracciabilità ed educazione del consumatore. L’85% degli italiani si dichiara positivamente vicino a questi temi ed è disposto a pagare anche 10 centesimi di euro in più per un pacco di pasta da un chilogrammo se sa di poter accedere ad una storia che possa raccontare cosa c’è dietro – si tratta del 10% del prezzo, un aspetto da non sottovalutare, come confermato dal prof. Rinaldi, nella scelta delle strategie di comunicazione futura delle imprese –.

Guidare un processo di scelta razionale e sostenibile è possibile se si trasmettono i giusti insight ai consumatori. Conoscere il valore che si nasconde dietro ad un prezzo, in termini di attenzione alle persone e al lavoro, alla scelta delle materie prime, porterà con minore probabilità il consumatore ad orientarsi verso un prodotto contraffatto. L’impresa Talamonti ha scelto di non interpretare la tracciabilità come mero obbligo d’impresa, ma operando nella logica di porre il cliente al centro, ha deciso di far vivere attraverso il vino e il packaging primario e secondario l’Abruzzo ai propri consumatori, valorizzando – anche grazie alla tracciabilità – l’eccellenza del Made in Italy e l’identità che rappresentano.

In questo contesto, la blockchain è solo una delle facce della tracciabilità, forse quella più costosa, che attualmente trova applicazione nel fashion, più che nell’agrifood (7% dei progetti complessivamente mappati in Italia), a causa del bilanciamento costo/margini.

Cosa ne pensano i consumatori italiani? Grazie alle analisi di Nomisma e Glaxi, mediante interviste a circa 3000 soggetti del panel Glaxi rappresentativo della popolazione italiana fra 18 e 75 anni, è stato possibile costruire uno score sintetico di propensione alla tracciabilità dei consumatori italiani, disegnando l’identikit degli Ambassador in relazione alle caratteristiche socio-demografiche e ad altri elementi rilevanti nel processo di acquisto, come le scelte per la sostenibilità, gli stili di packaging, le caratteristiche ricercate in un packaging innovativo, i trend futuri di acquisto e la disponibilità a pagare per un brand responsabile.

Sono donne, over 51, residenti prevalentemente al Sud e nelle Isole che credono nei valori della famiglia, nel lavoro e nel rispetto dell’ambiente e degli animali. Tendono a mettersi a servizio dell’altro, costruendo relazioni sociali gratificanti. Coerentemente ai propri valori, tra le informazioni di tracciabilità desiderate emergono, più delle altre, quelle in grado di certificare ottimali condizioni lavorative, identificare in modo univoco il prodotto e fornire informazioni sulla qualità e la provenienza biologica, elementi che si rispecchiano anche nell’estetica del pack scelto.

Sulla base delle risposte fornite a un elenco di 21 possibili obiettivi che la tracciabilità dei prodotti alimentari può avere, sono state individuate 5 tipologie 'naturali' di italiani, seguendo un approccio del tutto guidato dalle opinioni raccolte. È stato volutamente scelto il settore dei prodotti alimentari poiché lo spettro delle ragioni della tracciabilità è probabilmente più ampio rispetto ad altri settori e quindi verosimilmente, quello alimentare, può definirsi come il comparto di prodotti emblematici per discutere coi cittadini-consumatori di tracciabilità.

Ciascun profilo di italiano rappresenta dunque un modo di intendere la tracciabilità, come combinazione tipo delle 21 possibili ragioni per cui i prodotti alimentari vengono sottoposti a tracciamento. Sotto sono sintetizzate le caratteristiche di ogni profilo di persone trovato e il loro peso fra i 18-75enni italiani.

Molto interessante è il fatto che ben il 26% ormai interpreta la tracciabilità in modo significativo come qualcosa di collegato alle definizioni più larghe e compiute dello sviluppo sostenibile. Così come molto importante appare un gruppo di italiani, che pesa ben il 35%, e che percepisce la tracciabilità come qualcosa di incredibilmente legato a favorire il consumatore, dal favorire quindi una spesa maggiore a fare in modo che sia qualcosa che aumenti la necessità delle aziende di ascoltare le esigenze dei consumatori.

Un risultato su tutti va sottolineato: i più giovani non caratterizzano alcuna tipologia in maniera particolare, anzi sembrano spalmarsi più o meno omogeneamente su tutti i gruppi. Uno zoom analitico sulla classe d’età 18-25 anni ha permesso di scoprire che di fatto i giovani non individuano un set di possibili obiettivi della tracciabilità, quasi come se per loro fosse scontato che si debba essere in grado di conoscere tutto dei prodotti alimentari sul mercato, mediante meccanismo produttivo, comunicativo e distributivo ovviamente trasparente. I giovani sanno benissimo cosa costituisce “tracciabilità”, individuando ad esempio elementi come “l’onestà e la trasparenza dei brand” o “le condizioni lavorative delle persone coinvolte nella produzione” ma non pensano che la tracciabilità abbia degli obiettivi particolari, se non forse il fatto che faccia parte di un “mondo nuovo” in cui valori alti, come la trasparenza e l’onestà, siano alla base della nostra vita e quindi anche la tracciabilità sia qualcosa di scontato, poiché determina per brand e prodotti un elemento che deve essere uno standard nel modo di affrontare il mercato nei tempi prossimi.

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