Dopo la crisi la rivincita delle città

In un nuovo modello economico che sappia dare risposte alle tematiche di sostenibilità ambientale, le città hanno il ruolo di piattaforme esperienziali. Un sistema ormai avviato che cerca flessibilità e può sostenere economicamente i grandi cambiamenti in attesa di chiudere i conti con la pandemia
Nel numero di Mark Up di ottobre (293) l'articolo completo

L'attuale modello economico non è più sostenibile. L’esaurimento delle risorse chiede di ripensare alla radice il modo di consumare e vivere sul pianeta. La pandemia che sta funestando il 2020, insieme allo scioglimento dei ghiacci e agli incendi devastanti in diverse aree del globo, è un risultato evidente dell’attività antropica. Il cambio di modello economico sempre più invocato e sospinto anche da questi eventi, si scontra con la necessità di impiantare un “sistema operativo” in cui sia possibile non solo preservare l’ambiente, ma anche distribuire reddito a miliardi di persone. Una delle direzioni in cui l’attenzione è massima e verso la quale sono riposte grandi speranze è quella dell’evoluzione tecnologica la quale, negli ultimi anni, si è tradotta prevalentemente in “evoluzione digitale”. Una trasformazione che pur avendo impresso molteplici cambi di paradigma con ricadute positive, dirette e indirette, sul tema della sostenibilità, ha determinato una convergenza complessiva di funzioni ad un livello tale da rendere obsolete e inutili intere porzioni di filiere. Si è quindi davanti ad un’azione a tenaglia: da un lato la razionalizzazione tecnologica che abbatte lo spreco (la produzione di beni primari e secondari impiegherà sempre meno persone), dall’altra i limiti agli spazi di manovra di sviluppo che la sostenibilità ambientale impone. Rendere compatibili le esigenze ambientali con quelle di sviluppo economico è forse la più grande sfida che l’umanità abbia mai dovuto affrontare. Alcuni studiosi ipotizzano che in futuro sarà necessario separare nettamente le aree dedicate alla vita umana e quelle riservate al mantenimento dell’equilibrio naturale e alla biodiversità (Edward O. Wilson). In altre parole, un pianeta sempre più suddiviso in enormi regioni adibite a riserve naturali inviolabili e luoghi in cui le società possano vivere in un trend di progresso sociale in cui lo sviluppo ne è una parte ma non si identifica con il progresso (U. Galimberti). Questi luoghi sono le città, o meglio ciò in cui si trasformeranno.

Il valore delle città

Il ruolo delle città sarà sempre più importante. Secondo le stime condivise, tra 30 anni, nel 2050, le persone sul pianeta saranno quasi 10 miliardi (9,8 per la precisione) ma di queste, il 70% vivrà nelle città o, più precisamente, nelle aree urbane. Tuttavia, la sostenibilità energetica e ambientale di questi agglomerati non potrà prescindere da un’organizzazione olistica di tipo intelligente, un modello in cui la tecnologia sarà in grado (e in molti casi già lo è) di gestire le risorse in modo flessibile, distribuito e accessibile. Il modello in questione è quello delle smart city e prevede diverse novità rispetto a quanto si è abituati a vedere oggi nelle nostre città a partire dalla tipologia di edifici che si integreranno con l’ambiente naturale. L’indipendenza energetica grazie alle rinnovabili, l’emissione zero di Co2 attraverso meccanismi compensativi, la depurazione delle acque e riciclo delle stesse insieme a una micro produzione agricola locale sarà lo standard. La direzione è quindi tracciata e qualche esempio è già visibile. Basti pensare al Bosco Verticale a Milano con i grattacieli a compensazione di emissione di Co2 oppure, sempre a Milano, gli orti di città nel nuovo quartiere di City Life. Tuttavia, il modello smart city è solo lo strato di supporto, ciò che consente le attività socio-economiche compatibilmente alle esigenze di sostenibilità ambientale. Lo strato superiore, che si serve dell’architettura smart, è quello di città globale (GaWC Research Network). Con questa definizione si indica un centro urbano che ha assorbito e tradotto gli elementi portanti della globalizzazione ed è in grado di sostenere un’economia basata sul lavoro intellettuale, sul terziario avanzato. Una città in grado di esprimere i paradigmi dell’experience economy, economia dell’esperienza (Joseph Pine - James H Gilmore). Una città globale e smart richiede una dimensione minima per attivarsi ma probabilmente non ha limiti superiori grazie a una possibile organizzazione policentrica che anche le città medie e piccole del vecchio continente stanno cercando. Tutto questo moto di trasformazione è in atto da diversi anni. Città come New York, Londra, Singapore, Hong Kong e altre sono città globali, esperienziali e quasi smart. Un modello che in Italia non è ancora attivamente implementato se non con la fuga in avanti di Milano che ha conosciuto nel XXI secolo un’evoluzione con pochi confronti facendola diventare una città globale, piattaforma esperienziale di un’economia basata sul terziario avanzato e oltre.

Stili di vita e new normal

Questo percorso oggi sembra irrimediabilmente interrotto dal Covid-19 e dalla nuova normalità, che impone un inedito tipo di relazione sociale che mina alle basi le economie delle città globali: remote working (che non è smart working), confinamento ristretto, riduzione delle attività turistiche, degli eventi, delle fiere. E ancora l’out of home ridotto ai minimi termini con la ristorazione messo fuori gioco. Quanto l’impatto della pandemia non sia stato solo di tipo sociale (il modo di vivere e di lavorare) ma anche nel contesto dei consumi lo si può riscontrare dai dati provenienti dai canali retail. Questo tipo di angolazione mette in evidenza come l’aggressione al “sistema operativo” delle città sia profondo. Alcuni settori sono cresciuti: non solo l’alimentare al dettaglio o quello farmaceutico, ma anche il settore dei beni digitali, sia strumentali (dispositivi), sia di fruizione (abbonamenti a servizi e contenuti). Una crescita spinta dalle attività lavorative spostate in remoto e anche e soprattutto, dalle esigenze di comunicazione a distanza. Il timore, come si diceva, è che questa trasformazione forzata con l’accelerazione degli investimenti in tecnologie digitali e lo spostamento di molteplici attività fino a prima fisiche, determino una disruption destinata a permanere anche nel post pandemia, una cicatrice indelebile nelle città. Se questo fenomeno dovesse confermarsi, il crollo del Pil sarebbe stabile e difficilmente recuperabile, non è facile neppure immaginare una trasformazione economica che possa compensare lo spegnimento o riduzione consistente di molti settori. La nuova normalità non può quindi essere considerata stabile ed è ancora presto per misurare il fenomeno e proiettarlo nella sua dimensione stabilizzata. Tornando agli effetti sui consumi, Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, durante la presentazione del Rapporto Coop 2020 avvenuta a Milano lo scorso settembre, ha affermato che la pandemia, oltre agli effetti drammatici sulle vite, è stata un elemento di grande rottura dei trend in atto. Lo studio di Coop, analizzando i consumi durante la pandemia, rappresenta bene lo scenario che si verrebbe a costituire se la nuova normalità diventasse la normalità definitiva, mettendo in evidenza come le mura domestiche potrebbero diventare sempre più la roccaforte di una dimensione del cittadino che cerca protezione. I nuovi trend parlano di una vittoria del do it yourself per il quale vi sarà una rinuncia massiva a figure come colf e persone dedicate alle pulizie domestiche, a badanti con un aumento del tempo dedicato alle persone non autosufficienti. Cresce anche il trend del fai da te in casa, del giardinaggio e floricoltura, bricolage e altro. Così come il tempo passato davanti ai fornelli. Un cambiamento che trova supporto dall’implementazione diffusa dello remote working. Il fenomeno è un cortocircuito: remote working, quindi risparmio di tempo correlato agli spostamenti utilizzato ad attività domestiche che, fino a prima, si acquistavano in termini di servizi. Il tutto reso ancora più fluido dalla flessibilità di gestione del tempo. Tutto questo appare come la tempesta perfetta sull’economia delle città in cui la mobilità crolla e con essa il mercato dei servizi. Sul versante retail non food, la crescita dell’eCommerce fa il resto. Sempre il Rapporto Coop evidenzia come gli italiani dichiarino nelle intenzioni di acquisto di voler abbattere le spese per intrattenimento, sport, trasporti, ristoranti pub e bar, viaggi e vacanze. Ma i risultati dello studio mettono in evidenza un fenomeno di polarizzazione. Per esempio, il 41% del campione dichiara che nel 2021 ridurrà viaggi e vacanze ma allo stesso tempo un altro 26% dichiara esattamente il contrario. Se si prende un altro dei consumi digitali in crescita come abbonamenti e pay tv, emerge che se il 14% dichiara che nel 2021 aumenterà il budget dedicato, il 34% farà esattamente il contrario: lo ridurrà. Il dato si interpreta facilmente se si pensa che molti nel 2020 hanno fruito di questi servizi per mitigare il lockdown ma che pensano di ridurne la spesa grazie alla libertà guadagnata dal regime di libertà vigilata proprio della fase 3. La correlazione tra la dimensione cittadina e questa disruption è stretta ma non di immediata lettura. Il Rapporto Coop offre uno spaccato dei comportamenti di consumo del 2020 proiettata sul 2021 con il limite di essere fortemente influenzata dal momento. Le reazioni degli italiani sono infatti alimentate da una componente emotiva rilevante: paura, rabbia, scoramento. In questa bolla le scelte forzate appaiono nei loro effetti lontane dalla reale valenza prospettica. Per capire cosa ne sarà del futuro dei consumi e delle città, bisognerà aspettare diverso tempo, almeno tanto quanto serve a mettersi alle spalle la pandemia anche psicologicamente. Ma appare sicuro che, anche se attaccate in modo tremendo, le città dovranno continuare a giocare un ruolo molto importante per diverse ragioni

Da città globali a smart city

Attendendo che la pandemia diventi solo un brutto ricordo, il percorso delle città globali verso il modello smart city non può essere interrotto. Se diverse delle megalopoli orientali sono nuove, le città globali europee sono caratterizzate da uno stock immobiliare vetusto che richiede una forte azione di rigenerazione. La trasformazione delle città in modello smart coinvolge anche le più piccole in quanto gli elementi di ottimizzazione e saving energetico sono trasversali. Non tutte le smart city sono città globali per cui la piattaforma tecnologica smart è abilitante al modello economico di piattaforma ma non sufficiente a sostenerlo se non vi è la massa critica demografica e non vi sono le attività tipiche delle città globali. Tuttavia il percorso di trasformazione coinvolge sempre la componente pubblica e quella privata. Uno studio di PricewaterhouseCoopers - Creating the smart cities of the future - identifica un modello di sviluppo a tre livelli in cui al centro vi è l'evoluzione dei ruoli e delle relazioni tra i partecipanti chiave coinvolti nella trasformazione. In primis il settore pubblico e quello privato in tutte le attività rilevanti. In questa accezione il retail è uno dei settori privati più importanti in quanto impatta fortemente sull’occupazione, è socialmente aggregante, è motore di trasformazione urbanistica e generatore di experience in piena sintonia con il quaternario economico. Alla creazione di un modello di smart city concorrono anche i cittadini e le organizzazioni senza fini di lucro. Pwc individua un primo livello dove pubblico e privato collaborano per rendere disponibili servizi smart. Come esempio si può prendere i sistemi di gestione del traffico o dei parcheggi, il wi-fi pubblico, l’utilizzo dell’illuminazione stradale a led a più livelli di illuminazioni in funzione delle presenze, app mobili per i cittadini per diversi tipi di segnalazione sul sistema dei trasporti e sul monitoraggio dell'utilizzo dell'acqua. La componente economica di questo primo livello è di tipo contrattuale tra parte pubblica e parte privata che eroga e gestisce i servizi. Pwc identifica un secondo livello in cui il coinvolgimento della cittadinanza è più profondo e impatta su processi standardizzati modificando il livello di esperienza. Esempi possono essere l’estensione dei sistemi di carte di pagamento per i mezzi pubblici integrati in smartphone, o altre infrastrutture ad ampio raggio che supportano importanti processi di fruizione degli asset pubblici della città. In questo caso, il privato serve un numero amplissimo di persone e adotta un business model che prevede una cessione di quota di ricavi da parte del gestore pubblico.

L’ecosistema digitale

Un terzo livello ancora agli albori, prevede la creazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale all'interno e intorno all'infrastruttura digitale della città. Questo approccio permette di generare nuovi servizi e opportunità di business grazie allo sfruttamento della piattaforma cittadina. Il 5G è una tecnologia abilitante a questi tipi di servizi e possono prendere in considerazione la comunicazione pubblicitaria mirata e contestuale, le informazioni sul traffico e sull’inquinamento, sulla congestione pedonale e dei mezzi di mobilità alternativa e molto altro. Il concetto di base è che l’ecosistema digitale permette di creare servizi avanzati esattamente come si possono creare app all’interno di un sistema operativo per smartphone. Questo tipo di modello tecnologico-economico tra pubblico privato può apparire a prima vista non particolarmente nitido e intuitivo ma occorre considerare che l’evoluzione dei servizi è legata ai trend che progressivamente emergono e sono la cifra distintiva delle diverse epoche. Se si prende Milano, la città più smart d’Italia, e si osservano i servizi entrati in essere negli ultimi anni, si osserva che solo nella mobilità la sharing mobility ha conosciuto diverse evoluzioni partendo dalle flotte di auto per arrivare ai monopattini elettrici. Ognuno di questi servizi è da interpretare come una nuova app inserita in piattaforma e attraverso di essa possono essere inventati nuove opportunità e business model esperienziali.

L’economia dell’esperienza

Una città globale che si trasforma in smart city può configurarsi come piattaforma esperienziale. L’economia esperienziale è stata teorizzata fino dalla fine del XX secolo. È l’evoluzione dell’economia dei servizi in cui il vissuto diventa elemento di valore e il servizio è modulato non solo per risolvere una domanda, ma per dare soddisfazione all’esperienza veicolata. Si tratta di un’economia in cui la relazione è un punto focale e che le tecnologie renderanno sempre più elemento personalizzabile. Fissando questo approccio osservando il modello con funzionano le città globali, si scopre che le maggiori attività hanno tutte un elevato grado di esperienzialità. Dai servizi pubblici ai privati, la competizione si gioca sul garantire una customer experience ad elevato livello di engagement. Con la digitalizzazione e la trasformazione in smart city, come detto, la città diventa una piattaforma e i servizi una molteplicità di app fisico-digitale. Il cittadino inizia la sua giornata facendo esperienza della molteplicità dei sevizi che utilizza ed esso stesso, trova occupazione concorrendo a generare gli stessi e nel produrre servizi. Trasporto, sanità, formazione, cultura, eventi di business, servizi ristorativi, retail, eventi culturali, entertainment, sport, qualsiasi elemento ricreativo, sono disponibili in piattaforma (la città) e accessibili digitalmente. La cittadinanza stessa, mutuata da un device come lo smartphone e da un conto corrente, consente al cittadino di effettuare una specie di “login alla città” e svolgere qualsiasi attività. Questo tipo di modello sociale ed economico risponde a diverse sfide ed è molto promettente. Come prima istanza è in grado di coinvolgere ampie fasce della popolazione nel circuito lavorativo con conseguente distribuzione di reddito. Poi consente di concentrare in modo ottimizzato tutte le risorse in piattaforma (la smart city) lasciando libere vaste aree al ruolo di conservazione della biosfera. Il mix di collaborazione tra pubblico e privato può essere modulato in diverse modalità con il caposaldo della sostenibilità. Il modello concettuale della smart city che sostiene le città globali, è vincente alla luce di questa fase evolutiva, ma presenta diverse criticità nella sua applicazione. La prima è nella trasformazione delle città esistenti e nella transizione verso modelli green. L’impatto economico è imponente e gli stati e gli ordinamenti sovranazionali come l’Ue stanno sovvenzionando in diversi modi con soldi pubblici questo tipo di trasformazione.

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