E chi cambierà, invece, il retail italiano?

Scenario generale – Il sistema distributivo nazionale resta il più frammentato d'Europa. Ed è ancora bassa la quota di mercato della Gdo (da MARKUP 215)

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Il settore dei beni di consumo in Italia soffre ormai da troppi anni di una situazione di sostanziale stallo, aggravata dagli effetti della crisi economica e finanziaria in corso e dalla quale non uscirà spontaneamente, ma solo attraverso uno sforzo di ristrutturazione significativo e, auspicabilmente, controllato, sia sotto il profilo profilo della propria articolazione produttiva che di quella distributiva. Cerchiamo di capire bene perché e quali sono le aree di intervento più urgenti.

Cosa succede?
Da oltre quarant'anni il comparto dei beni di consumo intercetta una quota decrescente della spesa delle famiglie italiane. Negli anni '70 il peso della spesa per alimentari, abbigliamento, arredamento ed elettrodomestici etc arrivava quasi al 60% della spesa totale. Oggi si colloca intorno al 30%, ampiamente superata da spese "fisse" e meno discrezionali come abitazione, trasporti e comunicazioni ed energia. Si tratta di un fenomeno comune a quasi tutte le economie occidentali: il settore FCMG cresce poco e comunque meno dei settori adiacenti. L'Italia però si distingue da anni per tassi di crescita più bassi nei consumi e anche durante la crisi presenta il profilo nettamente peggiore. Se prendiamo, ad esempio, i consumi alimentari fra 2000 e 2008, cioè in periodo pre- crisi, la crescita italiana è stata solo dello 0,4 % in totale in termini reali contro circa l'1% di Regno Unito, Francia e Stati Uniti e oltre il 2% della Spagna. Nel periodo compreso fra il 2008 e il 2011, cioè in piena crisi, l'Italia ha addirittura prodotto un calo dell'1%, a fronte di crescite sostenute di altri Paesi importanti, come Germania (+1,4%) e Stati Uniti (+1,8%). Le previsioni degli analisti per i prossimi anni non sono purtroppo più rosee: una situazione sostanzialmente stazionaria dei consumi per l'Italia a fronte di crescite comprese fra lo 0,5% e il 2,8% nei prossimi 4 anni (2012-2016).

Le cause
Partiamo dalla frammentazione del business. Il sistema distributivo italiano è da tempo il più frammentato d'Europa per minore penetrazione della Gdo (ancora 186 mq di super+iper contro i 230 della Spagna, i 262 della Germania e il 269 della Francia) e minore concentrazione (in Italia i top 3 distributori rappresentano ancora il 34% del mercato alimentare ad esempio, contro il 50-60% degli altri paesi europei). Le conseguenze sono ovvie: minori economie di scala e costi distributivi più elevati per il comparto e per i suoi fornitori. La situazione non è certo migliore sotto il profilo produttivo.
I produttori sono mediamente più piccoli in Italia rispetto agli altri Paesi e più numerosi, con effetti più di complessità che di apprezzamento della varietà di scelta da parte del consumatore. Se poi pensiamo alla produzione agricola, la situazione appare ancora più difficile per il nostro paese: la dimensione media delle nostre aziende agricole è di appena 7 ettari contro gli oltre 40-50 di Francia, Germania e Regno Unito. Il dramma non è purtroppo solo legato alla frammentazione in sé, ma alla mancanza di una qualsiasi dinamica di consolidamento e ricerca di economie di scala e di efficienza da ormai oltre 10 anni. Analizzando infatti gli stessi indicatori su una serie temporale lunga (diciamo dalla fine degli anni novanta ad oggi), non si osservano variazioni di rilievo, né si leggono serie intenzioni di consolidamento dei mercati.

Conservatorismo
Il secondo fattore che si osserva con chiarezza è la tendenza degli attori di questo mercato alla conservazione. Analizzando il comparto nel suo complesso è difficile, fatte le debite poche eccezioni, identificare sviluppi rivoluzionari nell'ultimo decennio, sia in termini di nuovi modelli di business, sia in termini di innovazione (prodotti, formati distributivi ecc). Nello stesso periodo invece, in altri Paesi, si sono verificati "scossoni" di ben altra natura. Se prendiamo ad esempio la Spagna, uno dei paesi di maggiore presenza di ipermercati e concentrazione della Gdo, abbiamo potuto assistere in pochi anni all'ascesa di Mercadona, capace di concepire e diffondere su larga scala un modello di business quantomeno rivoluzionario nel suo contesto: superficie di vendita medio-bassa (1300-1500 mq), con forte enfasi sulla PL (>50%), basato sull'EDLP, con un'integrazione verticale "virtuale" con oltre 100 fornitori e un coinvolgimento del consumatore nello sviluppo di prodotti e formati che lo rende più vicino a Starbuck's che alla maggior parte dei distributori alimentari europei.
Il risultato è davvero impressionante: leadership raggiunta in Spagna nel 2011 (oltre 17 mdi € di fatturato), con una crescita del 90% in soli 6 anni, un RoE superiore al 25% e un EBT superiore al 4% sempre nel 2011.

Conflittualità
È ormai evidente da tempo e a tutti che, per esempio, il processo negoziale italiano fra produttori e distributori sia diventato obsoleto e improduttivo. Sarebbe giunto ormai il momento di adottare il modello britannico, che semplifica e riduce i costi della negoziazione nettamente: piena trasparenza delle informazioni di sell-out per favorire la concorrenza e la collaborazione consapevole fra produttori e distributori, accordi annuali semplici (net-net, contro le oltre 15 voci di negoziazione in Italia in media), tempi contenuti (3 mesi di negoziazione contro i 6 italiani) e interfacce negoziali semplificate (1 contro fino alle 3-4 del nostro Paese). Eppure, pur avendone sentito parlare in tutte le sedi possibili, non si manifesta alcun cambiamento di rilevo. Senza contare l'ampia gamma di esempi di fruttuosa collaborazione fra produttori e distributori ormai osservabile agevolmente su larga scala in tutta Europa e da noi sempre rimasta a livello sperimentale, al di là delle dichiarazioni di intenti. Il nostro comparto deve infine affrontare una volta per tutte le grandi sfide poste dalla internazionalizzazione del business. Sono ancora poche le imprese italiane di produzione capaci di andare in maniera strutturata all'estero con una forte presenza commerciale (la maggior parte si limita all'export).
Sono addirittura marginali le presenze all'estero delle nostre imprese distributive, in netta controtendenza rispetto alle equivalenti imprese francesi, tedesche e inglesi, come è noto. È anche giunta l'ora per le nostre imprese di aprirsi all'integrazione di profili e di esperienze di respiro internazionale a tutti i livelli nelle proprie organizzazioni.

     
 

Ritardo italiano

Le cause del ritardo del nostro paese, osservabile sia in periodi di crescita macroeconomica che in periodo di recessione, sono in realtà di natura strutturale e possono essere riassunte in quattro grandi capitoli: I) eccessiva frammentazione del business sia sotto il profilo produttivo che distributivo; II) naturale tendenza degli operatori del nostro settore alla conservazione degli assetti esistenti; III) spiccata "conflittualità" diffusa, che riduce nettamente la produttività del comparto nel suo complesso; IV) prospettiva nella visione del business essenzialmente "italo-centrica".

 
     

Allegati

215_sistema_ditributivo

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