Allo stato attuale una questione apparentemente
inestricabile è quella del Made
in Italy nell’alimentare. Come si può interpretare?
Il fatto che l’Italia sia un importante paese produttore
ma anche trasformatore di materie prime
non incide sulla percezione di qualità che
è riconosciuta al nostra saper fare. L’importante che sia fatto alla luce
del sole. Noi in Coop abbiamo realizzato un progetto sui nostri prodotti
a marchio che ha anticipato i tempi legislativi. Per esempio, noi
dichiariamo in etichetta la provenienza della farina che usiamo e questa
non è di produzione sempre italiana.
Che reazione hanno avuto i consumatori?
Abbiamo avuto ritorni molto positivi a dimostrare che se si gioca a
carte scoperte non vi è nessuna ritrosia purché la qualità sia garantita.
Io credo che ogni paese abbia la dignità pre produrre materie prime
di buona qualità. Chiudersi in casa credo che sia molto sbagliato.
L’Italia ha una tradizione di qualità senza pari, anche grazie
ai controlli e ai disciplinari. Con la materia prima importata,
chi garantisce il prodotto?
Se la marca ha una credibilità molto forte non ci sono problemi. Per i
nostri prodotti a marchio garantisce Coop e questo permette al consumatore
di scegliere con tranquillità.
Come possiamo ridare marginalità ai produttori nostrani?
Un inizio è riconoscere all’interno delle filiere i ruoli degli attori principali.
La consapevolezza collettiva è fondamentale, anche quella del consumatore.
Senza una precisa conoscenza si corre il rischio di sopravvalutare
alcuni prodotti e di sottovalutare altri e alcuni mestieri che le
realizzano. Dobbiamo giocare a carte scoperte dando più valore al cibo.
Chiedendo al consumatore di spendere di più?
Non è detto. Il lavoro che dobbiamo fare è quello di trovare un nuovo
equilibrio tra i passaggi delle filiera soprattutto puntando sulla legalità
e il rispetto delle leggi e dei disciplinari.
