Editoria e sfida digitale, tra innovazione e nuovi modelli d’offerta

Importanti gruppi imprenditoriali stanno acquisendo le più note testate mondiali, come l’Economist e il FT. L’innovazione e nuovi modelli d’offerta possono rilanciare un business anche in un mercato in profonda crisi, come quello dell'editoria

In principio era Google! Fin dai suoi albori, l’azienda di Montain View ha dimostrato un forte interesse al mercato delle news; poi è stata la volta di Apple che ha fatto trapelare un marcato interesse verso il mercato dell’editoria digitale e delle news veicolate tramite tablet e smartphone. Da qualche giorno anche la famiglia Agnelli ha confermato di “avere in atto negoziazioni” per aumentare la presenza nell’Economist, da molti definito il punto di riferimento del liberismo economico; ed è di poco tempo fa la notizia che il Financial Times, considerato come il giornale più diffuso al mondo, sia passato al gruppo giapponese NIKEI.

Eppure, se analizziamo le previsioni e le tendenze di molti mercati nazionali, l’attenzione verso questo specifico comparto dell’economia dovrebbe essere di segno completamente opposto!

In Italia, il mercato dell’editoria evidenzia ormai da qualche anno segnali di profonda crisi: infatti, i ricavi tradizionali sono in costante calo dal 2008 e la tendenza non sembra destinata a fermarsi per l’immediato futuro. Anche il fatturato pubblicitario si è ridotto in maniera significativa; tra il 2009 e il 2014, la raccolta dell’intera industria dei quotidiani si è esattamente dimezzata, da 1,5 miliardi a 750 milioni di euro, e i primi mesi del 2105 non autorizzano a particolari slanci di ottimismo: sia gli spazi che la raccolta pubblicitaria hanno segnato rispettivamente un calo di circa il 3% e di circa il 7%.

Se proviamo a spostare più in avanti l’orizzonte, scopriamo che le previsioni non sembrano essere particolarmente rosee; qualche anno fa, in maniera forse un po’ provocatoria, la ricerca Future exploration addirittura stimava che i quotidiani si sarebbero completamente estinti a breve e più precisamente a partire dal 2017 negli USA, dal 2019 nel Regno Unito e soltanto nel 2027 in Italia.

Come è noto il business model dell’editoria è uno di quelli che rientrano nella categoria a “doppia elica”, dove il valore viene generato dai ricavi tradizionali dei lettori e da quelli degli inserzionisti. Certamente la “pala” dell’elica relativa ai ricavi tradizionali è in costante calo nella maggior parte delle economie avanzate; nel nostro Paese, lo scorso anno la diffusione cartacea complessiva è diminuita da 3,6 a 3,2 milioni di copie e si è registrata una contrazione complessiva da 1,9 a 1,7 miliardi delle copie di giornale stampate. Certo, la diffusione delle copie digitali, passata in un solo anno da 300mila a 470mila copie giornaliere, e il balzo dei lettori digitali ha evidenziato un miglioramento significativo, ma questa pur promettente crescita dell’elica “pubblicitaria” riesce a compensare solo in misura parziale il calo dei ricavi derivanti dalla diffusione tradizionale. Secondo una recente ricerca condotta sui giornali americani, risulta che per ogni dollaro guadagnato dalla pubblicità digitale se ne perdono circa 6 a causa di una minore distribuzione cartacea. In altre parole, il sistema non può auto-sostenersi nel medio lungo periodo.

E’ evidente, che rispetto a questo scenario, il FT e l’Economist presentano delle potenzialità certamente interessanti agli occhi dei loro acquirenti. Innanzitutto, hanno dimostrato di saper valorizzare al massimo le opportunità derivanti dalla convergenza multimediale a partire dall’offerta di servizi informativi tramite le smart e le web tv. Non tutte le testate sono in grado di farlo; i percorsi di diversificazione richiedono, infatti, brand-testate particolarmente forti in termini di riconoscibilità e autorevolezza e soprattutto in grado di saper creare e trasmettere esperienze di infotainment uniche.

Le testate giornalistiche dovranno costantemente sviluppare idee e prodotti editoriali innovativi, ma resisteranno nel tempo soltanto se sapranno trasformarli su scala globale garantendo contestualmente un ROI (return on information) positivo ai propri lettori.

Per far ciò è necessario che l’innovazione, anche casualmente ottenuta come in una situazione di serendipità, sia in grado di migliorare i driver del ROI: favorire la capacità dei lettori di estrarre maggior valore e conoscenza dalle informazioni raccolte dalle proprie pagine, consentire loro di poter trovare le informazioni giuste al momento giusto e nei tempi giusti e infine ricercare una costante riduzione nei costi totali di accesso per la lettura.

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