Efficientamento energetico degli edifici: l’impatto sui consumi

Il cammino UE per la neutralità climatica passa dagli immobili, con impatto su istituzioni, business e cittadini-consumatori

L’obiettivo dichiarato della Commissione europea è la neutralità climatica entro il 2050. Il percorso per il raggiungimento di questo obiettivo epocale è costellato di tappe temporali ben precise, che richiedono di intervenire in una pletora di settori e contesti ben precisi. Tra questi vi è pure il settore edilizio, in questi giorni particolarmente sotto i riflettori degli emicicli e delle stanze del Parlamento europeo tra Bruxelles e Strasburgo, in quanto sono in corso le discussioni e negoziazioni sulla Direttiva europea per l’efficientamento energetico degli edifici. Quest’ultimi sono, infatti, responsabili di oltre un terzo delle emissioni di gas serra e inefficienti per un 75% del parco immobili dell’intera Unione. Si tratta di un testo che ha radici nelle leggi sull'efficienza energetica del 2018, e che oggi, in virtù del Green Deal europeo, sono in fase di revisione con l’ambizione rivolta appunto al 2050 (parco edifici a emissioni zero) e alla tappa intermedia del 2030, per cui è prevista l'obbligo per tutti i nuovi edifici dell'UE di essere a emissioni zero. A ciò si aggiunge la specifica che tutti i nuovi edifici pubblici dovrebbero essere a emissioni zero già a partire dal 2027 (è chiaro l'intento di dare il buon esempio, partendo dagli edifici pubblici!).

Inoltre, la Direttiva, di fatto, sarebbe il via ad un’ondata di ristrutturazioni al fine di fare in modo che tutti gli immobili residenziali possano essere di classe energetica E entro il 2030: un traguardo non facile da raggiungere, e in una corsa contro il tempo già prima di iniziare se si conta che – per quel che riguarda l’Italia – la maggior parte degli immobili italiani può classificarsi in F o G, e che per passare alla classe E è necessario implementare azioni volte alla riduzione di un 25% di consumi energetici, quali ad esempio la sostituzione degli infissi, la dotazione di un cappotto termico interno o esterno, una caldaia a condensazione di ultima generazione, ecc.

Al 2033 sarebbe stimato, poi, il passaggio alla classe D, per poi passare progressivamente a C e B, con l’orizzonte di riferimento sempre al 2050- zero emissioni. Il testo, nel suo iter istituzionale, è stato soggetto (e lo è tutt’ora) ad una serie di critiche legate ad aspetti come le coperture economiche di questi interventi (contando anche la disparità di situazione di partenza dei 27 paesi membri), ed anche all’applicazione di sanzioni o limitazioni da applicare relative alla messa in affitto se non si possiede il bollino verde europeo per l’immobile (un contrassegno autoadesivo numerato di colore verde che attesta il versamento effettuato per la dichiarazione di avvenuta manutenzione secondo determinati parametri), ad oggi emendate e fatte saltare nella bozza in discussione.

L’impatto della Direttiva sarà dirompente sul sistema paese italiano, contando che in media l’asset “casa di proprietà” è una prerogativa della tradizione economica italiana anche per la fascia media, per lo meno per le generazioni che hanno potuto godere del benessere economico del dopo guerra fino e agli anni immediatamente successivi. È chiaro che bisognerà intervenire con massicce ristrutturazioni, con necessità di fondi e coperture che vanno ben oltre il Bonus Facciate che l’ex Ministro Franceschini aveva messo a bilancio nelle passate legislature. Sul tema coperture, l’Abi (Associazione bancaria italiana) ha, poi, voluto far emergere la questione mutui: una volta che la direttiva sarà approvata e recepita nell’ordinamento, chiunque acquisterà un’abitazione non conforme per classi energetiche, sa che, nel giro di poco tempo, sarà costretto a doverla ristrutturare, con la possibile riduzione del valore dell’immobile. La gestione del mutuo e delle relative garanzie si fa, allora, più complessa ed è possibile che le autorità di vigilanza europee possano chiedere alle banche di adeguare le garanzie stesse.

Questo spaccato parziale della Direttiva in oggetto (che se non incontrerà particolari veti incrociati dovrebbe essere approvata entro marzo 2023 con eventuali emendamenti) permette di avere davanti agli occhi una chiara rappresentazione come la transizione ecologica impatti sui consumi, e come le sue esternalità negative in termini di costi rischiano di essere scaricate per buona parte sui consumatori finali (e per la maggior parte vedendo il periodo di crisi e recessione incapace di sostenerne il peso economico), se fin dal principio gli interventi non prevedano una loro sostenibilità economica concreta.

Il tutto è lungi dal mettere in discussione la necessità (assoluta!) di intervenire in ottica green, e gli italiani su questo punto ne sono ben coscienti. Secondo il Barometro 2022 sulla trasformazione ecologica elaborato dal Gruppo Veolia, azienda attiva nell’ambito della trasformazione ecologica, in collaborazione con la società di consulenza francese Elabe, l’Italia è il Paese al mondo in cui la sensazione di esposizione ai rischi climatici e ambientali è maggiore rispetto alla media mondiale. Di fatti, la grande maggioranza degli italiani, circa l’87%, si sente particolarmente esposta ai rischi climatici e ambientali: una percentuale che la fa posizionare sul gradino più alto del podio, davanti a Cina, India, Indonesia e America Latina e con numeri che si discostano in modo rilevante da quelli osservati nel resto del Vecchio continente.

Andando più a fondo delle evidenze restituite dal Barometro, in linea con la tendenza riscontrata a livello mondiale, in Italia:

  • il 70% della popolazione è certo che i costi delle conseguenze dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento siano maggiori degli investimenti necessari per la trasformazione ecologica;
  • il 60% è pronto ad accettare tutti i cambiamenti economici, culturali e sociali che le soluzioni ecologiche richiederanno, a condizione che non vi siano rischi per la salute, che vi sia un'equa distribuzione degli sforzi e, infine, che venga comprovata l’utilità della soluzione.

Ben intesi i rischi per la salute, è ovvio che il tasto dolente su cui si vedrà come potranno evolvere i consumi su questo come su altri settori sta nella realizzazione dell’equa distribuzione degli sforzi (economici, burocratici, ecc.). Le nuove generazioni, quelle dei Friday for Future e non solo, così come anche chiunque abbia a cuore il futuro del pianeta non può non usare il proprio potere d’acquisto e di scelta in questa direzione, contando che questa fiducia non venga tradita da politiche e aziende e da loro interventi non all’altezza.

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