eGovernment: Italia ancora in affanno rispetto alla media europea

Secondo il modello del Politecnico di Milano, le performance possono essere misurate attraverso due indicatori: Penetration e Digitalisation. Le ricadute sulla competitività

La pandemia ha mostrato in maniera molto netta il livello di trasformazione digitale raggiunto dai diversi Stati. In particolare, l’ambito dell’eGovernment, ovvero l'uso nei processi amministrativi e di governo delle più moderne tecnologie dell'ICT, restituisce un’immagine piuttosto eloquente di chi ha fatto per bene i compiti a casa e di chi, invece, ha molto potenziale inespresso da cui deriva un grande gap da colmare.

A questo proposito, a cadenza biennale, la Commissione europea pubblica l’eGovernment Benchmark Report, un documento sullo stato dell’arte dell’avanzamento dell’eGovernment in Europa, prendendo volutamente in considerazione 36 stati e non i 27 dell’UE, per avere un’immagine che restituisca quanto più fedelmente possibile il livello dell’Europa geografica.

Da tale report, nella sua versione 2020, emerge quasi una visione manichea della situazione, con da un lato un’Europa sempre più capace di sfruttare le potenzialità offerte dall’ICT per migliorare i servizi a cittadini e imprese, con tanto di veri e propri “campioni europei” dell’eGov; e, dall’altra, paesi come l’Italia che ancora fatica ad erogare servizi digitali in maniera fluida e capillare, dovuti in buona parte da mancanze infrastrutturali importanti. A fronte di tale spaccato, la Commissione ha diviso gli Stati in “Frontrunners” (apripista) e “Laggards” (ritardatari).

Tra i paesi apripista nell'eGovernment in Europa, secondo il suddetto l’eGovernment Benchmark Report, vi sono Malta (punteggio complessivo del 97%), l'Estonia (92%), l'Austria (87%) e la Lettonia (87%). Questi paesi ottengono il punteggio più alto in tutti e quattro i parametri di riferimento di primo livello (User Centricity, Transparency, Key Enablers e Cross-Border Mobility), seguiti da vicino da Danimarca (84%), Lituania (83%) e Finlandia (83%).

Tra chi ha registrato, in ottica comparativa, i maggior progressi, vi sono da annoverare il Lussemburgo, l'Ungheria e la Slovenia che, negli ultimi due anni, hanno aumentato rispettivamente di 20, 19 e 18 punti percentuali del 79%, 63% e 72% il loro posizionamento.

Esponente di spicco dei Laggards è, invece, l’Italia che si colloca all’ultimo posto in Europa per utilizzo dell’eGovernment: solo il 25% dei cittadini utilizza servizi digitali per interagire con la Pubblica Amministrazione, contro una media europea del 60%.

Performance assoluta su Penetration e Digitalisation, con indicazione delle relative performance (frecce). Notare il posizionamento dell'Italia (IT).
© eGovernment Benchmark Report 2020, Commissione europea.

In parte, questa evidenza può essere spiegata, come anche recentemente rappresentato dal “Referto in materia di informatica pubblica” e dal "Referto al Parlamento sullo stato di attuazione del piano triennale per l’informatica 2017-2019 negli enti territoriali" a cura della Corte dei Conti, sulla base delle importanti differenze in termini di dimensione degli Enti e della loro localizzazione geografica. Inoltre, tale dato rispecchia la posizione di arretratezza che l’Italia ha nell’ambito del DESI, il Digital Economic Strategy Index, con cui l’Europa classifica il processo di digitalizzazione in atto negli Stati partecipi del patto comunitario, collocandosi agli ultimi posti della classifica.

Giuliano Noci - Politecnico di Milano

Alcuni fattori di contesto rappresentano senz'altro un freno per chi è deputato a governare la trasformazione al digitale del nostro Paese ed è importante orientare gli investimenti per colmare questi gap, ma non possono essere presi come unica scusante. È necessario lavorare per rendere sempre più semplici e funzionali i servizi digitali della PA e per mettere in condizioni tutti gli enti, anche i più piccoli, di poterli offrire ai propri cittadini”, commenta Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano e responsabile del gruppo di ricerca sull’eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano. È importante esplicitare, infatti, che l’Italia ha avuto un contributo fondamentale nell'elaborazione dell’eGovernment Benchmark Report, dato che per il sesto anno di fila il Politecnico di Milano ha ideato e utilizzato a beneficio del documento un modello benchlearning, sviluppato per cercare di dare una spiegazione allo status quo dell’eGov nei singoli paesi, partendo dall’evidenza che le prestazioni in eGovernment possono essere fortemente influenzate dalle sue specifiche caratteristiche in termini di tipologia di utenza, caratteristiche della PA e propensione al digitale del Paese.

Secondo il modello del Politecnico di Milano, per l’appunto, le performance possono essere misurate attraverso due indicatori: Penetration, che misura il grado di diffusione del canale online tra gli utenti che hanno la necessità di utilizzare i servizi pubblici, e Digitalisation, la capacità della PA di sfruttare adeguatamente le potenzialità offerte dall’ICT. Dopodiché vengono individuati e pesati i fattori di contesto che possono condizionare lo sviluppo dell’eGovernment in un Paese, utilizzando in modo importante gli indicatori (Connectivity, Integration of Digital Technology, ecc.) del già citato DESI. Le performance ottenute posizionano l’Italia nella categoria “Non-consolidated eGov”, ovvero tra quegli Stati cioè che devono ancora lavorare per adottare in modo efficace l’ICT e ottenere performance paragonabili a quelle dei migliori. “L’obiettivo non è quello di trovare delle giustificazioni a performance mediocri di alcuni Paesi ma abilitare un confronto tra le strategie di eGovernment di Paesi con caratteristiche simili” spiega Michele Benedetti, responsabile della ricerca per il Politecnico di Milano.

Dall’analisi di “benchlearning”, l'Italia risulta posizionata peggio rispetto ad altri Paesi con caratteristiche simili, a dimostrazione del fatto che, però, vi sono notevoli margini di miglioramento. Confrontandosi con le strategie di altri Paesi meglio posizionati, alcuni dei principali gap che spiccano riguardano l’automazione dei processi e l’interoperabilità delle applicazioni che permettono una riduzione sostanziale degli adempimenti a carico dei cittadini. In questi Paesi la strategia di diffusione dell’eGovernment sembra concentrarsi maggiormente nel cercare di limitare le interazioni tra la PA e il cittadino ai servizi con maggior valore aggiunto.

Inoltre, delineando più a fondo il contesto del Belpaese, si rileva un buon livello di apertura dei dati e informazioni (indicatore Openness) e di digitalizzazione delle imprese (Digital in private sector), la diffusione della banda larga (Connectivity) sono in linea con la media europea. Tuttavia, emergono alcuni fattori che potrebbero rallentare l'efficacia delle azioni di eGovernment. Come già noto dal DESI, l’Italia è caratterizzata da un basso livello di Digital Skill della popolazione e da uno scarso utilizzo di internet. Per di più, l’efficacia percepita dell’azione della PA (Quality) da parte della popolazione è ancora molto bassa, e ciò impatterebbe sulla qualità dei servizi digitali offerti e, conseguentemente, contribuire a rallentare la diffusione dell’eGovernment nello Stivale.

Come già accennato vi sono dei significativi margini di miglioramento e, a tal proposito, il report 2020 introduce la presentazione di buone pratiche da parte dei differenti Stati Membri. L’Italia, nonostante la sua posizione da migliorare, è citata per i suoi casi successo come PagoPA, App IO e Fascicolo Sanitario Elettronico.

L’Italia rimane comunque vincolata alla dichiarazione ministeriale sull’eGovernment sottoscritta a Tallin nell’ottobre 2017 che l’ha impegnata, insieme agli altri Stati Membri, alla realizzazione dei principi e degli obiettivi dell’eGovernment Action Plan 2016-2020 (e di sicuro il tema rimarrà sul tavolo anche dal 2021), che è parte integrante della strategia del Digital Single Market europeo.

Cruciale, quindi, nella gestione del cambiamento, sarà l’adeguatezza e la coerenza della governance, focalizzata sull'obiettivo che l’Italia deve essere in grado di dimostrare, anche a fronte della possibilità di spesa che i fondi europei (prestiti o a fondo perduto) approvati nelle scorse settimane permetteranno.

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