Esportare senza muoversi da casa grazie al nostro petrolio d’Arabia

Esperti – Il saldo turistico non cresce e vale soltanto l’1% del Pil, contro il 2,4% dell’Austria, il 2,9% della Spagna, il 3,7% della Grecia, il 3,9% della Slovenia. (Da MARK UP 184)

1.
Il saldo “export meno import” è caratterizzato da una discreta tenuta

2.
Ma esistono anche le esportazioni di servizi

3.
Che potrebbero andare molto meglio

Nello scorso numero di febbraio 2009 richiamavo l'attenzione sullo strabismo culturale e mediatico che vede la manifattura italiana come il principale, se non l'unico, soggetto attraverso cui fare passare un rilancio del paese. Tale visione - rara questione condivisa dalla classe politica in modo bipartisan - enfatizza il ruolo dell'industria soprattutto con riferimento alla sua capacità di essere competitiva sui mercati mondiali attraverso le esportazioni. Guardando la tabella, si nota che nelle eccellenze del modello esportativo italiano il saldo export meno import è caratterizzato da una discreta tenuta anche in un contesto oggettivamente difficile sia per la crescente concorrenza straniera sia per la sostanziale impossibilità di svalutazioni competitive.

Vengo al mio punto, che è sintetizzato dall'introduzione, nella tabella, di un'ultima voce: la dimensione del turismo (consumer). Le spese dei non residenti sul territorio italiano per scopi non business vanno iscritte alla voce “esportazioni di servizi” della Contabilità Nazionale e compaiono all'interno della voce “viaggi” della bilancia dei pagamenti. Insomma, sono in tutto e per tutto esportazioni. Così abbiamo scoperto, ma non ce n'era bisogno, sia che per esportare ci si può anche non muovere da casa sia che l'equazione, mediaticamente accettata e diffusa, “esportazioni uguale esportazioni di beni”, è falsa: esistono anche le esportazioni di servizi, come appunto il turismo. Il solo saldo turistico consumer vale più del 70% del saldo delle prime tre eccellenze, ma non c'è da stare allegri, anzi.

Quando i se contano

Il saldo turistico non cresce (è una delle sottovalutate cause di difficoltà della nostra distribuzione commerciale) e vale soltanto l'1% del Pil, contro il 2,4% dell'Austria, il 2,9% della Spagna, il 3,7% della Grecia, il 3,9% della Slovenia. Se esso potesse essere sviluppato fino alla percentuale dell'Austria avremmo ricchezza netta aggiuntiva per 20 miliardi; se riuscissimo a raggiungere la percentuale della Grecia con il solo turismo consumer supereremmo il saldo netto di tutta la celebrata industria manifatturiera. Ora si obietterà che questo giochetto controfattuale non solo non è scientifico, ma anche un po' stupido (i “se” non contano). Eppure una constatazione dovrebbe nobilitarlo. Se la specializzazione produttiva di un paese è in fondo determinata dalla sua dotazione di fattori, allora dovremmo riflettere sul perché detenendo una parte cospicua di tutto il capitale artistico presente sul pianeta, siamo così scadenti sul fronte dell'esportazione di questi servizi; se questo fattore c'è (come credo), allora immaginare una crescita decisa di questa posta delle esportazioni è più che possibile. Spero sia chiaro: una cosa è dire “se avessimo il petrolio dell'Arabia Saudita allora…” un'altra è ipotizzare di mettere a reddito un capitale effettivamente esistente.

Nota di complemento: è vero che il nostro ottimo olio d'oliva, per fare un esempio, viene venduto con buoni margini sui mercati mondiali ma se poi mandiamo uno dei nostri figli a studiare all'estero per un po' di mesi e il fanciullo, grazie a noi abituato bene, se lo beve, allora abbiamo esportato per un valore aggiunto di x e reimportato per 4x o 5x (alla voce “spesa dei residenti italiani all'estero” iscritta tra le importazioni di servizi).


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