Export fa rima con Expo. Parola del ministro Maurizio Martina

Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha la delega per Expo da parte del governo Renzi

Versione integrale pubblicata su Mark Up 236 gennaio-febbraio

di Alessandro Battaglia Parodi

Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha la delega per Expo da parte del governo Renzi
Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha la delega per Expo da parte del governo Renzi

Con l’Expo alle porte è facile fare previsioni positive sul futuro del made in Italy. Ma c’è anche chi sta già pensando al giorno dopo, quando cioè la festa avrà chiuso i battenti e le singole delegazioni saranno tornate a casa. E soprattutto quando le migliaia di aziende dell’agroalimentare italiano, dopo l’eccitazione di tanta passerella, si ritroveranno a confrontarsi con i problemi di sempre: bassa competitività, burocrazia lentissima, contraffazione dei prodotti e poco sostegno all’internazionalizzazione. Tutte questioni sulle quali il Governo ha già deciso di fare alcune mosse decisive e per certi versi rivoluzionarie. Che forse non basteranno ancora, ma che intanto ci sono, nero su bianco, come ci racconta il ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina, che di Expo 2015 ha la delega da parte del Governo Renzi.

Ministro, può davvero bastare un’Esposizione universale a dare sostegno al made in Italy all’estero?
Iniziamo col dire questo. Con la Legge di Competitività e, successivamente, con la Legge di Stabilità abbiamo presentato un piano unitario per l’internazionalizzazione dell’industria agroalimentare, d’intesa con il Ministero dello Sviluppo Economico. Si tratta di un progetto importante perché per la prima volta mette a fattor comune le risorse economiche esistenti tra Mipaaf e Mise, che ammontano a più di 100 milioni di euro. È un piano ragionato, figlio di un lavoro svolto con gli attori fondamentali dell’agroalimentare italiano, e che contiene misure rilevanti. Parlo di una serie di strumenti dedicati alla piccola e media impresa alimentare italiana, la quale presenta quasi sempre un problema di struttura. Cioè, spesso e volentieri vuol fare il grande salto nell’export ma non possiede ancora le professionalità e le competenze adeguate. L’idea dell’inserimento nel piano di voucher da 10mila euro destinati alle piccole imprese per reclutare “temporary export manager” può, ad esempio, diventare un’occasione interessante per accedere più agevolmente ai mercati esteri. Ma le iniziative contenute nel programma sono molte e, soprattutto, sono tutte concentrate in un unico masterplan progettuale. Aggiungo inoltre che il piano straordinario opera per la prima volta anche un lavoro di selezione dei Paesi fondamentali da “aggredire” commercialmente.

Ad esempio quali?
Tanto per cominciare il 2015 sarà l’anno degli Stati Uniti d’America. E se diciamo Usa-2015 significa che andremo a realizzare un focus specifico sulle opportunità offerte in quel Paese, e da lì partirà una campagna di sperimentazione unica e distintiva in campo agroalimentare che ci servirà per certi versi come test fondamentale per le successive azioni. In quest’operazione, sviluppata assieme al viceministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, c’è tutto un lavoro preparatorio di selezione dei Paesi sui cui investire. L’intervento è biennale, per cui l’orizzonte arriva fino al 2017. Ed è un piano straordinario che, secondo me, è convincente sia nel metodo che nell’approccio.

Quindi il piano prevede anche accordi con reti distributive all’estero?
Sì, ed è l’altra grande frontiera che stiamo presidiando. Si tratta di un lavoro per sviluppare piattaforme logistico-distributive su altri mercati e accordi con le reti distributive dei vari Paesi, anche qui in grande sinergia con tutte le leve pubbliche. Oggi il grande contributo che la media impresa alimentare italiana ci richiede è un supporto per sviluppare piattaforme multicanale in giro per i mercati. E qui stiamo lavorando, devo dire, molto bene. C’è una partnership tra il nostro Istituto di Sviluppo Agroalimentare www.isa-spa.it e il Fondo Strategico Italiano www.fondostrategico.it della Cassa Depositi e Prestiti per fornire risorse, finanziamenti e accompagnamento a tutte le medie imprese italiane che vogliono sviluppare queste piattaforme.

E l’Ice? È ancora in pista in questi progetti?
L’Istituto per il Commercio Estero è protagonista di questo piano per l’internazionalizzazione messo a punto da Mise e Mipaaf. Credo molto nel fatto che, innovando anche la funzionalità e il modo di lavorare dell’Ice, si arrivi a fare un salto di qualità nel contributo che l’agenzia può fornire alle medie imprese italiane. Peraltro abbiamo già alcune sperimentazioni positive, per cui si tratta adesso di massimizzarne la portata.

E che ne pensa delle tante sedi estere di enti regionali che in questi anni hanno fatto da soli o con l’aiuto delle camere di commercio?
Questo riguarda un lavoro che negli anni alcune istituzioni hanno voluto svolgere autonomamente sul versante dell’internazionalizzazione. Io però continuo a pensare che questo Paese abbia bisogno di un soggetto unitario nazionale per sviluppare politiche di espansione e di comunicazione sui mercati esteri. Anche perché è solo su questa scala che è possibile avere i rapporti di forza adeguati per moltiplicare iniziative veramente vincenti.

Sul tavolo c’è anche il grande problema della contraffazione alimentare. Utilizzerete l’Expo come cassa di risonanza per contrastarla?
Sicuramente. E su questo abbiamo preso impegni importanti. Intanto a poche settimane dall’apertura dell’Expo realizzeremo a Lodi il “Forum europeo per la lotta alla contraffazione agroalimentare”, proprio per introdurre un tema che verrà poi sviluppato durante i sei mesi dell’evento con numerose iniziative. Questo è un problema serissimo, sia in ambito europeo che internazionale, a cui però si risponde con strumenti diversificati. Un conto è stare dentro al mercato europeo in cui esistono leve adeguate, che abbiamo anche utilizzato bene e che hanno prodotto riscontri positivi. Come ad esempio le procedure di protezione “ex ufficio” che ci hanno consentito di segnalare prodotti contraffatti su tutto il territorio dell’Unione europea e di toglierli così dagli scaffali. Un’esperienza positiva anche perché l’Italia è stato in quest’ambito il Paese di gran lunga più dinamico tra quelli coinvolti. Sui mercati internazionali si tratta invece di tutt’altra cosa, perché la partita passa attraverso gli accordi bilaterali che l’Ue riesce a stringere con realtà anche molto lontane. In questo senso, il nuovo accordo commerciale Ttip (Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti) tra Europa e Stati Uniti segna un punto molto delicato e importante.

Sul Ttip ci sono però molti timori, legati soprattutto alla potenziale diffusione di prodotti di minor qualità perché meno controllati rispetto agli standard europei.
Penso che quando si discutono potenziali accordi di questo tipo occorre veramente concentrarsi sulla realtà e non sull’emotività del momento. L’Europa esporta in Usa 15 miliardi di euro di agroalimentare e ne importa 9. È quindi evidente una tendenza interessantissima per noi dal punto di vista del potenziale da esprimere sul territorio americano. Secondo aspetto: gli accordi commerciali non mettono in discussione i Regolamenti Europei, tanto più quelli attinenti la salute e la qualità alimentare. Non è quindi possibile che un accordo commerciale modifichi i Regolamenti, e se anche qualcuno proponesse qualcosa del genere, faccio notare che le intese commerciali vengono votate dal Parlamento Europeo e da altre istituzioni assai strutturate. Voglio dire che abbiamo livelli di partecipazione e meccanismi decisionali che svolgono forti azioni di controllo e che quindi non permettono forzature di questo genere. Di più: è salvaguardato nella trattativa con gli Usa un concetto fondamentale che è il “principio di precauzione” per quanto riguarda la tenuta del sistema qualitativo alimentare europeo. Quindi io direi che facciamo bene a tenere alta l’attenzione, non voglio certo banalizzare certe preoccupazioni, ma sarebbe un grave errore alimentare paure e fobie. Quando in realtà non è un caso che 50 senatori degli Usa scrivano al Governo americano per fermare l’accordo. Questa notizia ci dovrebbe far riflettere sul fatto che sono maggiori le preoccupazioni sul versante statunitense, per un potenziale ingresso dei prodotti europei sui loro mercati, che non le nostre.

 

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