Case history: la risposta di Faber all’emergenza pandemica

Durante i mesi più duri della pandemia l’azienda è stata chiamata a soddisfare il fabbisogno di ossigeno. Un caso di resilienza e reattività in un mercato improvvisamente stravolto

Nel 1969, l’anno in cui l’umanità portava a compimento la missione Apollo 11 e per la prima volta sbarcava sulla Luna, alle porte di Cividale del Friuli nasceva Faber Industrie.
L’azienda, specializzata nella progettazione, produzione e distribuzione di bombole e sistemi per gas ad alta pressione, fu fondata dall’Ingegner Renzo Toffolutti, determinato pioniere dell’innovazione tecnologica della meccanica industriale del Nord-Est d’Italia.
“L'ingegnere”, come veniva chiamato dai suoi dipendenti e collaboratori per la sua precisione, appassionata determinazione e vivida curiosità, ricordava spesso che ciascuno è artefice del proprio avvenire, citando la locuzione latina “homo faber suae fortunae”.
Oggi, ad oltre 50 anni dalla fondazione di Faber, questa massima ha trovato anche una sua collocazione fisica all’interno degli headquarters aziendali. Una massima che oggi, durante una pandemia di portata mondiale, sembra ancora più attuale, e che non ha trovato soltanto una collocazione fisica nell’azienda immaginata dal “L’ingegnere”, ma anche nel cuore di chi lavora oggi dentro Faber. Il business, infatti, nell’ultimo anno, ha intrapreso un processo di innovazione del proprio paradigma per far fronte all’incertezza dell’ecosistema e alle prospettive future. A tal proposito, abbiamo intervistato il CEO di Faber Industrie, l'Ingegner Giovanni Toffolutti.

Siamo partiti dalla storia di Faber. Ma chi è oggi Faber e cosa fa?
Faber è un’azienda di circa 400 dipendenti e che a fine 2019 contava un fatturato di 100 milioni di euro. Tuttora l’azienda è localizzata a Cividale del Friuli ma con stabilimenti produttivi anche a Castelfranco Veneto ed in Thaliandia, attiva nella produzione di bombole.
Il business aziendale è suddiviso in tre principali aree: (a) l’industriale, che include i gas tecnici, alimentari, medicali e i gas speciali, (b) l’aria sia per la subacquea che per uso superficie e (c) l’energie pulite quali il (bio)metano e l’idrogeno per l’energy storage e per la mobilità. Nel settore in cui operiamo i principali player hanno più o meno le nostre dimensioni, ma occorre fare una distinzione tra chi è partecipato da società più grandi, spesso quotate, e chi, come Faber, rimane tuttora “indipendente”, senza quindi risultare condizionato dalle scelte strategiche di una capogruppo.

Parliamo ora dall’emergenza provocata dal Covid19 e di come si concilia una pandemia con un salto tecnologico a livello globale
Non vi è dubbio che il Covid-19 abbia scosso l’intero settore della meccanica-industriale. Quando è scoppiata l’emergenza Covid-19 in Italia, nonostante la situazione di lockdown, noi siamo rimasti operativi e ci siamo adattati rapidamente da un punto di vista organizzativo ai cambiamenti per continuare la produzione.
Basti immaginare alla produzione di bombole di ossigeno ad uso medicale. Durante i mesi più duri dell’emergenza l’azienda è stata messa a dura prova per riuscire a soddisfare il fabbisogno dovuto alla delicata situazione in cui tutti eravamo coinvolti. D’altra parte, a fronte di una impennata di domanda relativa alle bombole ad uso medicale, le aree di business industriali, l’auto ed il subacqueo hanno subito delle contrazioni significative. Ad ogni modo, si tratta di aree di business destinate a tornare ad una situazione di “vecchia normalità” quando l’emergenza si sarà definitivamente esaurita. Entrambi i mercati hanno già più volte dimostrato di essere strutturalmente resilienti.
Per quanto riguarda l’idrogeno, invece, il discorso è completamente diverso. Qui la pandemia ha avuto un ruolo di acceleratore di una transizione tecnologica dal combustibile fossile all’idrogeno che si stava impantanando. La pandemia da un lato e le policy europee dall’altro (Next Generation Fund, in Italia Recovery Fund) stanno spingendo rapidamente vari settori industriali (dall’automotive, ai sistemi di produzione di energia) verso l’adozione di soluzioni tecnologiche a basso impatto basate sull’idrogeno. Ritengo siamo arrivati ad un punto di svolta rispetto al quale sarà assai improbabile fare dei passi indietro. La discontinuità tecnologica è davvero alle porte.

E com’è cambiata Faber al proprio interno a causa della pandemia?
Dal lato strettamente operativo, come molte altre aziende che sono rimaste aperte, abbiamo dovuto rinunciare alle trasferte di lavoro e alle consuete visite presso i nostri clienti e fornitori. Inoltre, una gran parte dei nostri impiegati si è adattata a lavorare in remoto durante la fase più acuta dell’emergenza. Questo fatto ha provocato una profonda accelerazione della digitalizzazione dei processi aziendali. Tutti i processi: logistico-produttivi, documentali, commerciali, etc. In questo senso, la pandemia ci ha costretto ad operare dei cambiamenti organizzativi che non si esauriranno con la fine della stessa. Il mondo è cambiato per sempre e noi pure.

Siamo nel 2030 e ci re-incontriamo a distanza di 10 anni. Cosa è diventata nel frattempo Faber?
Risposta non facile. In questo momento (ancora nel 2020!) l’azienda ha due grandi obiettivi di medio termine: un primo obiettivo è più conservativo e riguarda gli ambiti di business tradizionali dei gas industriali. Qui dovremo investire in innovazione incrementale al fine di migliorare costantemente le prestazioni del prodotto aumentando significativamente gli attuali livelli di efficienza e produttività essendo il prodotto price sensitive.
Il futuro ci permetterà anche di definire al meglio il nostro posizionamento nella Supply Chain e di valutare il processo irreversibile di consolidamento di settore in atto.
Il secondo obiettivo è quello più sfidante e fa riferimento alla nuova economia dell’idrogeno. Qui la partita si gioca totalmente sul campo dell’innovazione, inizialmente di prodotto alla ricerca di soluzioni sempre più sofisticate e prestazionali e successivamente anche di processo alla ricerca di riduzioni di costo e maggiore accessibilità per un mercato tendenzialmente crescente.

La lezione manageriale che ci insegna questo caso

(a cura di Guido Bortoluzzi e Marco Balzano)
La pandemia Covid-19 ha cambiato e sta ancora cambiando radicalmente la nostra società, le nostre abitudini di lavoro e di consumo (sempre più casalingo), impattando sulla nostra forma mentis (non è poi così male il work-life balance, no?) e il nostro modo di relazionarci con gli altri (sempre più digitale). Ciò non può farci chiudere gli occhi davanti alle nuove sfide ed alle opportunità che possono nascere: senza un evento di tale portata, che rimane ovviamente un evento nefasto sotto molteplici punti di vista, molte discontinuità si sarebbero tradotte in lente transizioni ed in potenziali inespressi.
Inoltre, l’ondata pandemica sta portando molte aziende (tra cui Faber) ad innovare radicalmente il proprio paradigma attraverso una digitalizzazione dei processi e una nuova “Hydrogen Economy”, tramite una vigorosa accelerazione di tali processi innovativi (“Economia all'idrogeno. La creazione del Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla terra”, Jeremy Rifkin, Mondadori, 2002).
La nuova “Economia all’idrogeno” costituisce un mercato in espansione, in cui le aziende devono ancora affermarsi sul terreno competitivo.
Se si ha contezza della propria competitività sul mercato, come ci suggerisce la matrice Boston Consulting Group, mantenere attive le aree strategiche a bassa crescita ma con stabilità di rendimento (industriale e subacquea nel caso di Faber) renderà possibile generare nuovi flussi di cassa da investire nei Question Mark (così che possano divenire in futuro delle Star), sviluppando nuove aree strategiche per il futuro dell’azienda.
Un ultimo spunto di riflessione ce lo dà proprio “L'ingegnere”, Renzo Toffolutti, a oltre 15 anni dalla sua scomparsa: ciascuno è artefice del proprio destino.
Se è vero che non sempre una mutazione porta ad un miglioramento, l’unico modo che abbiamo per migliorare è essere pronti al cambiamento: l’ecosistema non è controllabile da un singolo individuo, ma se quest’ultimo adotta una strategia flessibile e ragionata, saprà vedere opportunità anche nelle situazioni più avverse.

(*)
Marco Balzano (PhD student, Università Ca’ Foscari di Venezia)
Guido Bortoluzzi (Professore Associato di Innovation Management, Università degli Studi di Trieste)

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