Fisco e corsa al record sono
il vero freno alla ripresa

Problema fisco. Nel dibattito sulle prospettive dell’economia italiana ha sempre un ruolo di primo piano (da Markup 226).

Di recente mi è accaduto di non essere in grado di associare le sconclusionate affermazioni di alcuni importanti esponenti politici alla loro figura, carismatica, qualificata, di elevatissimo profilo sotto tutti i punti di vista. E proprio su questi temi. Si sente spesso parlare di riduzione delle tasse o della pressione fiscale, di un 2014 come anno della svolta. Per un analista è necessario interpretare le affermazioni mediante un ancoraggio ai risvolti numerici, ai riflessi statistici che i provvedimenti hanno sull'economia reale. I dati ufficiali e le previsioni del Governo restituiscono un quadro diverso dalle dichiarazioni pubbliche e molto in linea con il sentiment delle famiglie e degli imprenditori italiani.

Cambio di regime
Il grafico chiarisce che siamo di fronte a un cambio di regime. Mai la pressione fiscale ha raggiunto il 44,3% come nel 2013, in salita ulteriore dopo il balzo del 2012, e la prospettiva per il 2014 è di una riduzione di 8 centesimi di punto (cioè niente), condizionale a una crescita della ricchezza prodotta pari all'1,1%, una stima non condivisa da alcuna istituzione internazionale né avallata dai centri di ricerca italiani: se non si dovesse raggiungere la crescita ipotizzata dal Governo, il 2014 potrebbe far record storico della pressione fiscale. È cambiato qualcosa nel nostro Paese in termini di qualità e quantità dei servizi pubblici, finanziati con le suddette maggiori imposte? Da un punto di vista sostanziale questa nostra storia fiscale non avrebbe senso.

Il grande fagocitatore
È pur vero che in fondo qualcuno potrebbe obiettare che la pressione fiscale è crescente per rientrare nei parametri del patto di stabilità ma è altrettanto vero che se un Paese aumenta il carico fiscale sui fattori e gli agenti produttivi per ripagare sciagurati debiti pregressi, si dovrebbe osservare una riduzione del debito non solo in rapporto al Pil ma anche in assoluto. Cosa che non si è osservata né appare prospetticamente a portata di mano nel breve termine.
C'è dunque la macchina dello Stato e degli enti decentrati che continua a fagocitare risorse crescenti. Si dirà: versione pessimistica, che trascura la caduta degli spread con i titoli decennali tedeschi (a metà gennaio 2014 attorno a 200 punti base). La riduzione degli spread è senz'altro un buon indice di migliorata fiducia degli investitori internazionali nei confronti dell'Italia, ma questa considerazione, a ben vedere, è troppo generica per essere accettabile o, almeno, per costituire elemento di efficace conforto rispetto al quadro critico descritto dall'accoppiata tra vivace pressione fiscale e dinamica asfittica della produzione nazionale.
Misurando direttamente il rendimento dei BTP decennali, in termini nominali, è tornato ai livelli del 2010 e permane attorno al 3,9-4,0%. Poichè gli investitori - come ciascuno di noi - allocano le risorse per mantenere o accrescere il potere d'acquisto effettivo del risparmio, dobbiamo togliere l'inflazione dal rendimento dei buoni del tesoro. Ecco che i rendimenti reali appaiono addirittura crescenti negli ultimi mesi, mentre in serie storica lunga permangono dentro un canale limitato (tra il 2 e il 3,5% reale). Mi pare dunque, che i risultati ottenuti sul versante finanziario, rendimenti e spread, siano meno eccezionali di quanto taluni vorrebbero farci credere.n

Allegati

226_Trend_fisco
033_MARKUP226_02_2014_Fisco_Bella.pdf

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