Foodpairing, quando il gusto lo decide l’algoritmo giusto

L'azienda è stata premiata da entrepreneur.com come una delle 100 società più innovative del foodtech. Abbina Big Data con scienziati e ingegneri di cucina. (da Mark Up n. 252)

Bernard Lahousse, Peter Coucquyt e Johan Langenbick - I tre fondatori di Foodpairing

“I dati sono il nuovo petrolio. E la loro  raffinazione,  come  per  il  petrolio  è  un affare enorme (...) Se all’improvviso tutti gli algoritmi smettessero di funzionare, sarebbe la fine del mondo che conosciamo”. La nostra società, come scrive Pedro Domingos (L’algoritmo definitivo, Bollati Boringhieri), ingegnere elettronico e docente presso l’Università di Washington, autore di più di duecento  pubblicazioni  scientifiche  sull’intelligenza artificiale, è immersa negli algoritmi di apprendimento. Sequenze di istruzioni  dicono  a  un  computer  cosa  fare  sulla  base  dell’immagazzinamento di dati. Il machine learning (apprendimento automatico) ci suggerisce quali  acquisti  fare,  filtra  la  nostra  email,  consiglia film o libri, come fa quello di Netflix o Amazon, regola la disposizione  della  merce  nei  supermercati.  Grazie ai Big Data, costruiti anche con l’aiuto di crawler che lavorano in Rete, l’orizzonte  si  allarga  a  dismisura.  La  rivoluzione  investe  il  mondo  degli  affari, scienza, tecnologia (dalle automobili  senza  guidatore  agli  elettrodomestici smart), medicina, sport, musica: non c’è  ramo  che  non  ne  sia  interessato.  E  tra questi c’è il food, colpito più di altri dall’ondata.
Foodpairing è un ottimo esempio per capire cosa stia realmente accadendo, basta recarsi a Bruges. Qui ha sede la centrale dell’azienda premiata da entrepreneur.com come una delle 100 società più innovative nel foodtech, che ha fatto la sua apparizione anche all’ultima edizione milanese di Seeds & Chips. È stata fondata nel 2009 da Bernard Lahousse,  Peter  Coucquyt  e  Johan  Langenbick. La squadra è composta da 14 membri tra chef, scienziati, sviluppatori del business, ingegneri di ricerca e sviluppo, analisti dei dati. L’idea di fondo parte da una prima considerazione: l’esperienza gustativa è solo al 20% fondata  sul  palato,  grazie  alla  lingua  che  rileva  l’acido,  il  dolce,  l’amaro,  l’aspro o l’umami, mentre all’80% è basata sugli aromi, le essenze volatili. Il punto è che cibi che condividono le stesse molecole aromatiche chiave sono più facili da combinare: questa è la vera scoperta. Si apre così un mondo segreto, si svelano accostamenti insoliti e sorprendenti, come lamponi e piselli, cioccolato e cavolfiore, indivia nel dessert. Non è comunque  un  caso  che  anche  alcuni  abbinamenti  tradizionali,  come  formaggio e bacon o burro e asparagi, abbiano in realtà molte componenti aromatiche in comune.Il primo piatto Foodpairing, creato dallo  chef  belga  di  origini  coreane  Sang-Hoon Degeimbre, fu una combinazione di ostriche e kiwi. Non tutte le molecole  aromatiche  sono  però  determinanti.  Il  caffè,  per  esempio,  ne  ha  circa  700, ma solo un paio sono quelle importanti  per  il  profumo,  perché  le  altre  sono  in concentrazioni tali che risultano impercettibili al naso.

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