di Raffaello Bernardi - Salvo Garipoli
Indubbiamente Fruit Logistica è una delle manifestazioni più importanti per il settore ortofrutticolo. Ecco in sintesi cosa è emerso nell’edizione del 2015.
- Centrale il prodotto ed i percorsi di valorizzazione in atto con focus dedicati ai mercati internazionali:
- Sul fronte italiano in primo piano il lancio di nuovi prodotti all’insegna della innovazione varietale, da un lato Valfrutta con il nuovo peperone “Cornelio”, dall’altro il consolidamento del progetto club Metis®, la susina a buccia verde, gialla e rossa, succosa e croccante dalla caratteristica polpa rossa, made by Minguzzi e Granfrutta Zani.
- Sul fronte internazionale, da segnalare la vittoria del Fruit Logistica International Award 2015 da parte di Aurora papaya seedless (origine Israele), seguita dal lemoncherry di Belorta, un pomodoro ciliegino all’aroma di limone (in attesa di degustarlo in Italia).
- Rilevante per quanto concerne i brand il rafforzamento del posizionamento delle nella logica della “responsabilità” e dell’”edutainment”. A tal proposito segnaliamo:
Chiquita con il lancio della campagna “just smiling” e con la presentazione di uno scaffale che integra l’offerta banana sfuse con l’offerta del bananito nella logica dell’acquisto d’impulso e del servizio al cliente intermedio e finale.
Pink Lady che, attraverso il gioco e l’inconfondibile colore “pink” ha invitato tutti gli operatori a interagire con i valori del prodotto direttamente sul proprio stand attraverso giocando al “cubo pink”, ed ha consolidato il lancio della linea PINKIDS in co-marketing con Disney® pensata per supportare il consumo del target kids attraverso un prodotto calibrato ad hoc ed una gamma di prodotto di quarta gamma easy to eat.
E l'Italia?
Per quanto concerne gli operatori italiani, la sensazione generale è che ci sia voglia di uscire dal tunnel della crisi. Abbiamo constatato una rinnovata propensione degli operatori ad emergere nonostante il “blocco russo” e le inefficienze logistiche e strategiche interne. Forte è la consapevolezza che il made in Italy rappresenta un’opportunità da proporre e supportare quale leva di differenziazione rispetto all’offerta mondiale.
Nota stonata: a fronte di queste evidenze, il frammentato sistema produttivo italiano non riesce a fare sintesi a casa propria. Urge proporsi nei confronti degli operatori esteri in modo unitario, fuori dagli sterili campanili (Milano?, Rimini?, Verona?), Madrid docet (o no?). Ma questo è solo un punto di vista. Il tempo è galantuomo.