Gli alberi non crescono fino al cielo, che futuro per il Bio?

La certificazione bio è presente nel 16% delle coltivazioni italiane, ma i prezzi continuano a essere un deterrente per i consumatori

Il biologico, dopo anni di crescita, sta affrontando in prima linea la crisi attuale dei consumi. Anche se non è una garanzia di gusto, di origine o di un rapporto equilibrato con i produttori, il bio assicura un approccio produttivo che rispetta la naturalità. Per avere la certificazione bio, i prodotti devono rispettare un metodo di produzione agricola che esclude l’uso di prodotti chimici di sintesi (invece, trattamenti naturali sono permessi), che assicura l’assenza di ogm, che limita l’uso di antibiotici e assicura una produzione nel suolo.

La filiera produttiva italiana si è organizzata e oggi il bio pesa il 16% delle superfici coltivate contro l’8% in Francia. Il paradosso è che il consumo interno ha dati opposti, del resto nessuno è profeta nel proprio paese. Il mercato italiano pesa 4 miliardi di euro, simile alla Svizzera, mentre in Francia supera i 12 miliardi. L’incremento del numero di referenze è stato il motore della crescita della categoria, ma non è aumentata la penetrazione. Ancora oggi 2/3 del consumo è concentrato su meno del 20% dei consumatori.

Il freno principale per un consumo massivo rimane il fattore prezzo. La differenza di prezzo tra bio e non bio arriva a livelli stratosferici: dal 30% fino al 70%, il che limita l’acquisto ai più fervidi sostenitori del bio, ma resta troppo oneroso per le famiglie. Per la gdo come per tutta la filiera produttiva, il bio rappresenta una vera opportunità di portare più valore sullo scaffale, rafforzando l’immagine di qualità su prodotti di filiera. Servirebbe però uno sforzo coordinato tra tutti gli attori della filiera, per rafforzare la loro competitività e preservare un’eccellenza che è in pericolo.

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