Gli investimenti nel marketing hanno un valore tangibile

di Andrea Gallo @andreagallo_t8 (Project Manager della practice “Marketing” all’interno di Knet Project)
e Heber Caramagna @hebercaramagna (Business & Consulting Manager della practice “Sviluppo organizzativo, economico e finanziario”

 

Perché il marketing contribuisce all’aumento del valore aziendale

Heber Caramagna.

L’atavica difficoltà avvertita da CMO e advisor di settore è quella di comunicare ai board aziendali il contributo degli impieghi in marketing intangibles all’aumento del firm value. Non è questione di mero marketing ROI quant’anche di correlazione tra risorse destinate al marketing e contributo delle stesse all’aumento del valore. Abbiamo pertanto deciso di sviluppare il presente articolo su di un concetto che riteniamo essere la ‘via maestra’ per spiegare il contributo del marketing allo sviluppo del valore aziendale: il marketing diminuisce la volatilità finanziaria. E per avvalorare la nostra tesi, facciamo ricorso a tre concetti ampiamenti discussi in materia di marketing strategico: customer satisfaction, customer perception e brand equity.

Customer satisfaction. Compatibilmente agli ultimi lavori di Gruca e Rego, riteniamo che un aumento nella soddisfazione della clientela provochi una minore variabilità nel comportamento della stessa, quindi decisioni di acquisto meno mutevoli e pertanto minore volatilità del free cash flow. A tutto ciò consegue naturalmente un aumento del firm value, per definizione legato al costo medio del capitale e alla volatilità dello stesso. Ricapitolando quindi, maggiore soddisfazione dei clienti, minore variabilità comportamentale, minore volatilità finanziaria, maggiore valore dell’azienda.

Customer perception. Non consideriamo con la qualità percepita dal consumatore finale solamente quanto desumibile dal consumo, piuttosto quanto elicitato a livello ‘sensoriale’ attraverso azioni di marketing pull. Il lavoro da cui partiamo è quello di Mizik e Jacobson nel quale si esprime una diretta correlazione tra aumento della customer perception e stabilità del futuro aziendale. La riflessione da farsi è pressoché immediata: una percezione di maggiore qualità genera un futuro meno volatile per via della minore probabilità di shortfalls, quindi un minore costo medio del capitale nella definizione del terminal value.

Brand equity. Giunti al nostro ultimo punto, non possiamo non considerare il peso derivante dall’esistenza di un forte brand in azienda nella quantificazione dell’enterprise value. Sfruttiamo in questo caso le conclusioni cui sono giunti Madden, Fehle e Fournier circa la correlazione diretta tra branding e ROE e ci spingiamo ad affermare come un rendimento sull’equity crescente comporti minori rischi per il potenziale investitore (specie in listed companies), con conseguente diminuzione della volatilità finanziaria e aumento del firm value.

In estrema sintesi, tre diversi casi per dimostrare perché, a nostro parere, un marketing efficace contribuisce sempre all’aumento del valore.

 

Come il marketing contribuisce all’aumento del valore aziendale

Andrea Gallo.

I presupposti, per cui i concetti succitati si possano tradurre in azioni concrete ed efficaci, affondano le proprie radici in due practice di marketing fondamentali: analisi endogena aziendale e conoscenza del mercato.

Analisi Endogena. Apparentemente banale, tale fase consiste in una profonda autoanalisi interna che generalmente si trasforma in un’inevitabile fonte di vantaggio competitivo. La difficoltà risiede nel condurre un’analisi dei punti di forza e di debolezza aziendali in modo del tutto avulso da preconcetti tipici di chi vive l’azienda nella quotidianità. Spesso gli errori strategici che ne scaturiscono, se non viene utilizzato il corretto approccio, provocano danni rilevanti. Diversamente se tale analisi viene condotta correttamente si genererà un vantaggio sul mercato che il consumatore riconoscerà e per cui inevitabilmente contribuirà ad arricchire la brand equity aziendale.

Conoscenza del mercato. Sia in ambito B2B sia in ambito B2C i clienti sono sempre più mutevoli e soprattutto liquidi, ragion per cui risulta difficile costruire delle segmentazioni chiare e precise. Per questo motivo impiegare risorse nell’approfondire maggiormente il proprio mercato di riferimento è il presupposto fondamentale per interpretare nella maniera corretta i bisogni. Soprattutto, però, risulta di importanza strategica ai fini della generazione del firm value di cui sopra, comprendere il comportamento di consumo del proprio cliente attraverso l’ideazione e l’implementazione di strumenti che l’attuale processo di digital transformation mette a disposizione. In questo modo la profondità della conoscenza del consumer behaviour è tale da consentire una risposta in tempo reale a quanto richiesto, restringendo inevitabilmente il campo d’azione e quindi un’eventuale “infedeltà” del consumatore.

Conclusioni

Abbiamo esordito definendo il difficile status in cui versano numerosi CMO in azienda come atavico, caratterizzato dalla necessità degli stessi di dover evidenziare costantemente il ritorno del proprio lavoro. E proprio la costante ricerca del Marketing ROI, così come ad oggi trattato nella maggioranza dei casi, ha di fatto spostato l’attenzione dalla ricerca di una bontà dell’azione di marketing nel lungo periodo all’ottenimento della mera efficacia di breve termine. Con queste poche righe abbiamo voluto riportare l’attenzione su un punto che riteniamo nodale: se non torniamo a pensare al marketing come motore dello sviluppo del firm value, rischiamo - malgrado tutti gli sforzi che possiamo fare in termini di ricorso ai big data - di non comprendere la reale opportunità per l’azienda nell’investire sul conoscere meglio sé stessa, il mercato e come migliorare il proprio posizionamento. Conoscere significa diminuire l’incertezza che quotidianamente permea il decision making, acquisire maggiore consapevolezza del proprio futuro potenziale, diminuire la volatilità e con essa il rischio, variabile principe in sede di due diligence d’azienda.

L’aumento del valore aziendale non può che passare da qui.

 

Bibliografia

Anderson, Eugene W., Claes Fornell, and Sanal K. Mazvancheryl (2004), “Customer Satisfaction and Shareholder Value,” Journal of Marketing, 68(October).

Chaney, Paul K., Timothy M. Devinney, and Russell S. Winer (1991), “The Impact of New Product Introductions on the Market Value of Firms,” Journal of Business, 64(4).

Dekimpe, Marnik G. and Dominique M. Hanssens (1995), “The Persistence of Marketing Effects on Sales,” Marketing Science, 14(1).

Gruca, Thomas S. and Lopo L. Rego (2005), “Customer Satisfaction, Cash Flow, and Shareholder Value,” Journal of Marketing, 69(July).

Dekimpe, Marnik G. and Dominique M. Hanssens (1999), “Sustained Spending and Persistent Response: A New Look at Long-Term Marketing Profitability,” Journal of Marketing Research, 36(November).

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