Gli opinionisti di Mark Up – Giovanni Cobolli Gigli

Anche quest’anno sono cominciati i saldi invernali. E il conseguente balletto di numeri sul loro successo o insuccesso. Perché i saldi invernali sono il primo indicatore dell’anno sulla propensione al consumo, pur in un quadro di prospettive incerte, se i saldi funzionano vuol dire che, in presenza di condizioni economiche vantaggiose, i consumatori sono disposti a comprare. Questo è il punto: la crisi ha comportato un atteggiamento più attento nei nostri consumi, inclusa qualche rinuncia. Nell’abbigliamento ciò è molto evidente: il rinnovamento del guardaroba è più lento e il mercato ne soffre. Dal 2010, in quantità, si è accumulata una perdita del 17%*. Occorrono quindi stimoli continui. Senza considerare internet! Le vendite online di abbigliamento rappresentano il 20% del totale delle vendite di beni, con una crescita annua tra il 15 e il 20%. Diventa quindi sempre più improcrastinabile la piena liberalizzazione delle promozioni, un progetto a suo tempo condiviso da Federmoda, ma ora non più sostenuto. Il passo da fare è più simbolico che reale, ma forse per questo più complicato. Ora le promozioni nei prodotti non alimentari sono vietate nel periodo antecedente e/o successivo ai saldi in 16 Regioni, con regole diverse da Regione a Regione. Un intreccio normativo che crea costi organizzativi per le imprese e che penalizza i consumatori, al quale si sopperisce con politiche commerciali diffuse, ma discutibili. La loro liberalizzazione renderebbe il mercato più trasparente, offrirebbe nuove opportunità d’acquisto conveniente ai consumatori e renderebbe più efficiente la gestione dell’assortimento per le imprese. *Dati Sita Ricerche

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