Gli osservatori di MARK UP – Il caco nostrano va sostenuto

Articolo pubblicato su MARK UP 90 marzo 2002 – Innovazione: sul mercato è stata introdotta una varietà di prodotto più consistente

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Il margine sui prezzi degli ortofrutticoli motiva i produttori. Romagna e Campania puntano sui cachi

Sotto la spinta di una competizione sempre più agguerrita sulle tipologie di frutta più note, il sistema produttivo nazionale cerca di creare spazi di mercato per alcune produzioni frutticole minori. Un esempio di questo tipo è rappresentato dai cachi.
Le piante di cachi, originarie dell’Estremo Oriente, sono entrate stabilmente nel circuito commerciale europeo solo in tempi recenti. I frutti sono raccolti acerbi e stoccati al fine di consentirne la maturazione: raccolti all’inizio di novembre sono pronti per il consumo solo verso la metà di dicembre. Il prodotto, infatti, è molto delicato in fase sia di stoccaggio sia di vendita: schiacciamenti e urti possono comprometterne l’integrità deteriorandolo.

L’offerta. In Italia la coltivazione del frutto si concentra in Romagna e Campania: esistono comunque vaste zone vocate lungo l’intera penisola. Allo stato attuale la superfice coltivata investita a cachi supera i 2.200 ettari, per una produzione di circa 42.000 tonnellate l’anno mediamente.
Il periodo di commercializzazione del frutto è breve: esso si protrae da settembre a dicembre. La quota di prodotto che dalle organizzazioni dei produttori transita attraverso i canali della Gda e venduta nei self-service alimentari è cospicua: si stima intorno all’80% del totale commercializzato.
Il caco è uno dei tanti prodotti ortofrutticoli da rivitalizzare, puntando su novità e caratteristiche organolettiche del frutto o, in alternativa, da abbandonare, accettando magari di vederlo giungere sulla tavola dall’estero, nel caso specifico dalla Spagna. Gli operatori iberici da tempo hanno puntato su alcuni elementi per promuoverne le vendite: un colore più intenso per rendere il prodotto più attraente e, soprattutto, una disponibilità anticipata rispetto all’offerta italiana. Di conseguenza il caco di origine nazionale trova sbocco prevalentemente sul mercato interno, mentre la produzione spagnola è cresciuta rapidamente all’estero, in particolare in Francia, Svizzera e Germania.

Il prezzo. Allo stato attuale, la catena del valore mette in luce il peso marginale del settore primario nei confronti degli altri operatori ai diversi stadi della filiera: la produzione trattiene meno di un quarto del valore complessivo finale.
La posizione di debolezza del settore produttivo si spiega con il fatto che con le attuali tecnologie di conservazione la maturazione troppo rapida del frutto produce un disfacimento veloce dei tessuti e spesso ne rende “scomodo” il consumo.
Per ovviare all’inconveniente, nel corso della passata stagione commerciale alcune delle principali associazioni produttrici di cachi hanno puntato sull’innovazione, proponendo una tipologia di frutto più consistente, che può venire sbucciato e consumato come se fosse una mela. Il prodotto viene proposto in confezioni che esaltano la colorazione, ottenuta con metodi di coltivazione eco-compatibili.

L’innovazione.
La ricerca di nuove strade di valorizzazione dei cachi puntano a evitare che la diffusione venga progressivamente circoscritta, sotto la pressione di un’offerta di frutta dall’estero sempre più ampia e continuativa durante l’intero arco dell’anno solare. Il rischio da evitare è di ridurre il consumo del prodotto nostrano a poche nicchie di estimatori locali. Il caco è un frutto che risponde bene alla domanda del mercato nazionale: la richiesta degli acquirenti si indirizza, infatti, verso un prodotto dalla consistenza superiore, tale cioè da consentirne il consumo sia a tavola sia all’aperto fuori casa.
In questa logica, la sfida dei prossimi anni si gioca sulla possibilità di segmentare il mercato per attrarre nuove fasce di consumatori.

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