Globalizzazione, insidie e opportunità per le pmi

Articolo tratto da Mark Up 236

di Pierpaolo Mamone - Nicola Ruffini (Roland Berger)

Negli ultimi mesi, anche a seguito di acquisizioni da parte di investitori stranieri, si è intensificato il dibattito sull’importanza della crescita dimensionale delle aziende italiane per rimanere competitive nel mercato globale. Questa sfida coinvolge in particolare uno dei settori di punta del made in Italy, quello alimentare con circa 6.000 aziende, di cui meno di 10 con un fatturato superiore a 1.000 milioni di euro.

Fattore competitivo
La dimensione sostiene la competitività delle nostre aziende: dall’analisi delle performance tra il 2009-2013 nell’industria alimentare, emerge una chiara correlazione tra dimensione e profittabilità. Più grandi sono le aziende, più elevata è la capacità di produrre reddito ed essere competitive. Tuttavia se da un lato il calo della marginalità è stato generalizzato, dall’altro le aziende di fascia media (fatturato compreso tra 200 e 1.000 milioni  di euro) sono quelle cresciute di meno (2% medio annuo vs 5% delle altre fasce dimensionali) e che hanno registrato il maggior aumento di indebitamento (+27%). Ovvero, la crisi ha colpito tutte le aziende ma in particolare un po’ di più quelle di fascia media. Perché? Al segmento (fatturato compreso tra 200 e 1.000 milioni di euro) appartengono diverse aziende di marca non leader, che si trovano “in mezzo al guado” tra una politica di crescita di fatturato (e quindi di volumi per conseguire economie di scala) vs una politica di focalizzazione su segmenti premium (nicchie a più elevata marginalità, ma con potenziale di crescita volumi più limitato). Sono le aziende che hanno subito più delle altre i trend non favorevoli sia sul fronte retail/dinamiche competitive (ad esempio, crescita private label, elevato ricorso alla leva promozionale da parte delle marche leader …) sia su quello del consumo (elevata sensibilità al fattore convenienza, minore importanza al fattore innovazione …).

Market Share
Strette tra questa duplice morsa le aziende di marca di fascia media (in particolare quelle di marca/follower) hanno visto diminuire la propria market share a favore della private label e delle marche leader. In un mondo sempre più complesso e competitivo, qualsiasi sia la scelta strategica, non si potrà fare a meno di guardare alla propria azienda con una duplice ottica: di medio-lungo periodo, definendo un chiaro progetto di sviluppo industriale (crescita dimensionale vs focalizzazione in segmenti premium; di breve periodo, attraverso un rigoroso e continuo controllo di tutta la catena del valore. La definizione del modello di business e la strada per lo sviluppo (o per la sopravvivenza) passano, quindi, necessariamente attraverso:

  • conoscenza dei trend di mercato e dello scenario competitivo (sia nazionale sia internazionale).
  • efficacia commerciale (ad esempio, ottimizzazione strategia promozionale, ottimizzazione canali distributivi).
  • eccellenza sul fronte dei costi.
  • ottimale gestione delle risorse (es. capitale circolante).
  • In particolare, considerando l’ottica di breve periodo, non si potrà fare a meno di “incastrarla” in un progetto di sviluppo più ampio.

Un esempio concreto, se si considera l’efficienza dei costi, si è assistito negli ultimi anni ad un incremento della focalizzazione sul tema della razionalizzazione delle spese e degli investimenti che ha toccato diverse voci. Una di queste, Ricerca & Sviluppo/Innovazione, in particolare in un momento economico in cui il consumatore è meno attento all’innovazione, può essere oggetto di revisione al ribasso da parte delle aziende. In tal caso, interventi su questa voce, se non vincolati o inseriti in un progetto di sviluppo di medio-lungo periodo, rischiano di essere un rimedio al bisogno di cassa di breve termine ma un attacco alla stabilità e alla competitività dell’azienda su un orizzonte temporale più ampio.

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