Granarolo riporta il latte al suo livello di dignità sul mercato

Granarolo latte
Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo, parla della difficile situazione della filiera e della decisione di aumentare il prezzo di acquisto agli allevatori

Granarolo ha avviato un’iniziativa che definisce “forte”, avendo aumentato il prezzo medio del latte agli allevatori da 42 centesimi al litro fino a 48 centesimi al litro (48,5 centesimi per il Sud). La guerra in Ucraina, il rincaro delle materie prime e dell’energia stanno mettendo a dura prova il settore agroalimentare italiano: nel mese di marzo 2022 i costi per la sola parte agricola della filiera del latte sono aumentati del 20% rispetto all'anno precedente. La parte industriale ha visto l’aumento dell’energia, del packaging, della carta, della plastica e della logistica.

Gianpiero Calzolari (a sin) con Filippo Marchi

“Così siamo intervenuti”, spiega Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo.“Inoltre la nostra cooperativa ha aperto all’ingresso di nuovi soci. Queste due decisioni hanno sbloccato un po' la situazione e molti altri trasformatori ci stanno seguendo su questa strada e contemporaneamente si è riaperto il negoziato con la grande distribuzione per i listini. Tutti hanno preso consapevolezza che se la filiera non regge, alla fine rischiano di morire il prodotto e la filiera stessa”.

Quali sono i vostri obiettivi?
“La nostra strategia è un punto di partenza, non è certo un punto di arrivo perché nel frattempo i costi continuano ad aumentare. Tutti abbiamo convenuto, e questa è forse la novità maggiore, che il differenziale di prezzo va ripartito per tutta la filiera compresi i consumatori, perché sarà un 2022 difficile. Nessuno può pensare di scaricare l’intero costo sugli altri, non solo non è un atteggiamento responsabile, ma nessun soggetto ha la forza di farsi carico di tutti gli oneri”.

Se avverrà, non sarà certo a breve termine. La stessa filiera del latte sa che deve fare uno sforzo al suo interno: tutti sono chiamati a recuperare efficienza, anche le stalle. Non si può solo chiedere.

C’è disponibilità dentro la filiera?
“Tutti ci riconoscono il coraggio di aver sbloccato una situazione ferma che presentava, e purtroppo presenta ancora, il rischio di chiusura per molte stalle. Per noi prendere l’iniziativa è quasi un dovere perché siamo la più grande cooperativa italiana e il più grande trasformatore nazionale a capitale italiano. Il nostro ruolo ci impone un’assunzione di responsabilità. Tutti sono consapevoli che siamo di fronte a una situazione eccezionale e nessuno, almeno oggi, è in grado di dire se ci sarà un ritorno dei prezzi a prima della crisi.

Come ha reagito la Gdo?
“All’inizio è apparsa contraria a rivedere i prezzi, poi si è mostrata più disponibile. È necessario essere trasparenti anche sul piano dei costi. Siamo in trattativa e possiamo dire di non essere ancora arrivati alla fine. Stiamo presentando i listini ma non è detto che siano gli ultimi. Per il momento la gdo ha solo in parte riconosciuto gli aumenti. Noi abbiamo un approccio leale: se vogliamo il latte dobbiamo pagarlo e per venderlo devono pagarcelo il giusto prezzo”.

Quale aumento prevede sul consumatore?
“Un italiano consuma in media 40 litri di latte all’anno, se un litro di latte UHT da 83 centesimi al litro, prezzo medio 2021, salisse a un euro, sarebbe una spesa di circa 40 euro all’anno rispetto ai 35-36 euro. Direi che si tratta di un aumento sostenibile. Forse è necessario cominciare a dare il giusto valore alle cose. L’adeguamento di un prodotto di qualità che permette a tutti di vivere è un approccio responsabile da parte anche del consumatore che, però, va informato della situazione, non possiamo limitarci ad imporgli un prezzo più alto.

Dobbiamo spiegare bene che dietro a un litro di latte c’è molto lavoro, ci sono una filiera e un territorio. È prima di tutto un fattore culturale: al cibo va riconosciuta la dignità che merita. E la dignità è il suo prezzo: se lo paghiamo il giusto prezzo significa che gli riconosciamo dignità. Evitando le speculazioni, naturalmente.

Quanto durerà questa la crisi?
“Sicuramente tutto il 2022, prevedere oltre al momento è molto difficile”.

Cosa chiedete alle istituzioni?
“Una modifica delle politiche comunitarie che continuano a essere ferme alla situazione precedente a questa crisi, mi riferisco in particolare all’abbandono delle terre coltivabili, serve una strategia diversa. Oggi ci servono più terre coltivabili, senza siamo di fronte a un anacronismo e perfino a un lusso che non possiamo permetterci. Dalla Comunità Europea abbiamo già ottenuto una deroga del 5%, ma serve di più.

Sul fronte delle risorse economiche devono essere privilegiati gli investimenti più virtuosi come per esempio verso l’economia circolare, l’agro energia, il digitale, uno scenario che coinvolge anche le stalle. Servono poi risorse per le aggregazioni industriali. Sul lato dei sussidi devono essere confermati quelli che possiamo definire “strutturali”, come gli aiuti alle zone appenniniche o montane dove la produttività è più bassa. E ci sono le specificità come il Parmigiano o il Grana Padano, le Dop, il biologico, che vanno tutelati. Insomma, non c’è un latte solo”.

La situazione potrebbe perfino peggiorare?
“Oggi non si può escludere, non è così semplice sostituire velocemente i fornitori di grandi quantità di materie prime, come, per esempio, il mais che viene dai Paesi dell’Est”.

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