L’Italia invecchia, con ripercussioni anche sul mondo del lavoro. Un dato che apre a due importanti considerazioni, entrambe collegate alla medesima opportunità, quella di creare una cultura del lavoro attenta alle diverse generazioni e alle necessità personali e professionali, attraverso il confronto e la formazione.
La prima domanda alla quale rispondere è di piena impronta generazionale: come persone di età diverse, che condividono la vita d’azienda possono imparare le une dalle altre? La seconda, invece, è di tutela. Alla base, la necessità di guardare con attenzione e ascoltare i lavoratori, mettendo al primo posto il loro benessere fisico e mentale.
5 generazioni insieme
48 anni è l’età media dei lavoratori italiani (44 la media degli altri Paesi dell’unione europea), rileva l’indagine 2022 di Eurostat. Aumenta non solo l’età media ma anche il rapporto tra il numero anziani (di età pari o superiore ai 65 anni) rispetto alle persone in età lavorativa. Nel nostro Paese, che invecchia in maniera costante, dati Istat alla mano, da qui al 2070 si passerà da 59,6 milioni a 47,6 milioni con un rapporto giovani anziani, nel 2050, di 1 a 3. Rispetto a soli 20 anni fa, le evoluzioni sociali hanno determinato una contrazione demografica e, soprattutto, fatto slittare in avanti una serie di tappe personali. Il risultato è l'allungamento della vita lavorativa, con un ritardo di almeno dieci anni nell’ingresso e nell'uscita delle persone dal mondo del lavoro. Per la prima volta nella storia, come argomenta il saggio “Senza età”, di Diego Martone (Egea), cinque generazioni lavorano insieme.
Grey hair workers
Gestire lavoratori di età diverse significa conoscerne i bisogni e metterli in relazione ma, anche, saperne intercettare le paure. Il mondo anglosassone li definisce grey hair workers: i capelli grigi, infatti, diventano un argomento di discussione tutt’altro che facile da trattare, sia lato azienda che lato persone. Il tema dell’ageismo, ancora poco dibattuto, è invece cruciale e spaventa non poco i lavoratori over 55 che devono confrontarsi con stereotipi, ma, anche, con le inevitabili necessità dovute al passare del tempo. In Canada, dove il tema dell’ageismo sta entrando nella cultura di massa (serie tv comprese) e dove ha fatto notizia il licenziamento di Lisa LaFlamme (conduttrice rea di essersi mostrata con i capelli grigi), emergono, da report come “Older Workers: Exploring and Addressing Stereotypes” stereotipi riscontrabili anche nel nostro Paese: gli older workers sono percepiti come più sinceri, gentili e affidabili ma meno competenti rispetto alla comprensione e alla messa in pratica di nuove attività.
Un mondo del lavoro diviso a metà, dove ci sono mansioni da giovani e altre da anziani.
Una visione che porta con sé non poche conseguenze dove la paura di mostrare i segni dell’età, come i capelli grigi, appunto, rappresenta solo la punta dell’iceberg e che ha tra le sue conseguenze quella di non far emergere chiaramente le normali problematiche legate al benessere psicofisico.
Salute mentale e fisica
Nel film “Lo stagista inaspettato” Robert De Niro è un over 70 in pensione, vedovo e desideroso di rimettersi in gioco. Lo farà come stagista in una startup dove si troverà a vincere stereotipi legati all’età, alla conciliazione casa-vita privata e alla tutela della propria salute, anche mentale. Una storia che non si discosta molto da una realtà che richiede un nuovo patto generazionale, in grado di riconoscere, senza giudicare o stereotipare, le necessità di una forza lavoro che invecchia. Ancora un dato: tre lavoratori su cinque soffrono di disturbi muscoloscheletrici e quasi la metà dei casi di infortuni in Veneto, secondo l’indagine Inail, riguarda lavoratori tra i 40 e i 59 anni; in Europa (Share: Survey of Heath Aging and Retirement in Europe) più del 30% dei lavoratori tra i 50 e i 64 anni ha almeno una limitazione nella mobilità, nella funzione degli arti superiori o nell’esecuzione dei movimenti fini. Se si pensa che la maggior percentuale della forza lavoro italiana è impegnata nel settore manufatturiero questo dato assume ancora più il senso dell’urgenza.
Promuovere un invecchiamento attivo, che vada a prevenire gli infortuni sul lavoro, significa superare gli stereotipi senza far percepire l’età come una colpa ma come un momento della vita con necessità diverse in cui rientra, anche, la salute mentale e la creazione di un equilibrio tra lavoro e impegni personali e famigliari.
Un progetto per promuovere l’invecchiamento attivo
Da queste basi è partito il progetto “Work Ability and Ageing”, presentato da Fòrema, società di consulenza nata a Padova in seno all’Associazioni degli Industriali, in occasione del lancio del Festival Internazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro.
Davanti a una popolazione lavorativa che invecchia servono, infatti, nuove politiche e prassi condivise per migliorare la qualità della vita e ridurre gli infortuni sul lavoro.
Il progetto parte da un decalogo in cinque punti dove si parla di valorizzazione dell’esperienza, di promozione di stili di vita sani e sicuri e di valutazione di rischi per la sicurezza e la salute sul lavoro che tenga conto anche dell’età. Uno dei punti invita ad incentivare, in azienda, buone politiche di invecchiamento attivo in cui le relazioni efficaci, il fare squadra, rappresentano un punto di partenza importante anche per il benessere psicofisico e utili a far emergere necessità professionali e personali e fare crescere team dove il divario generazione diventa davvero un’opportunità di cambiamento e tutela.