Guerra Russia-Ucraina: la risposta dei brand tra emotività, coerenza e percepito

Il conflitto in corso ha visto il brand activism accendersi, ma attenzione a distinguere tra posizionamento emotivo e purpose coerente. I dati Kantar

Il conflitto russo-ucraino ha scalzato il Covid non solo dalle prime pagine dei giornali, ma anche dal podio delle preoccupazioni degli italiani, che insieme all'inflazione si ritrovano ora alle prese con una nuova fonte d'ansia e incertezza. Rialzo delle materie prime, conseguenze delle sanzioni su interi settori e relative richieste di intervento al Governo da parte di tutta la filiera del largo consumo sono solo alcuni dei temi sul tavolo dell'emergenza. In questo contesto, forse ancor più che in tempo di pandemia, il dibattito si accende, polarizza, e i brand si trovano ancora una volta ad affrontare le questioni del posizionamento e dell'attivismo. Del resto, le dinamiche di diplomazia aziendale diventano sempre più strategiche in un'arena digitale dove si incontrano "forme comunicative dai tone of voice più diversi (meme compresi) e con trend stilistici e contenutistici tra cui scegliere e/o a cui contribuire", come già sottolineato su queste pagine.

Il ruolo dei consumatori

"Spesso il brand activism si limita ad iniziative di facciata, nel caso del conflitto russo-ucraino le risposte sono state tante e molto concrete, compresa la chiusura di sedi e negozi in Russia. Questo sicuramente da un lato ricorda ulteriormente al consumatore il ruolo che lui stesso ha con i propri atti d'acquisto rispetto a questioni sociali importanti, dall'altro ha un'implicazione in termini di reputazione aziendale", ci spiega Federico Capeci, Ceo Kantar: "Si aprono poi domande come quella sul futuro della globalizzazione: dovremo quindi scegliere con criteri diversi le persone con le quali facciamo affari?".
Certo, le possibili iniziative e scelte di comunicazione sono di stampo molto diverso tra loro. Nel caso dell'aiuto umanitario sotto-forma di contributo economico, beni o servizi, si resta in una comfort-zone meno atta ad attrarre polemiche e feedback negativi. Tante le operazioni attuate su questa scia da retailer e mondo gdo. In questo caso l'unico rischio di "effetto boomerang" si corre forse nel momento in cui si divulga quanto fatto, laddove si utilizzi un tono troppo autocelebrativo, che porta a un'apparente strumentalizzazione.

Prese di posizione: le opinioni dei consumatori

Molto più delicate le prese di posizione che si schierano apertamente. Cosa pensano, di queste ultime, i consumatori? In merito alla guerra in atto, Kantar ha chiesto a 1.000 italiani come guardano all’attivismo dei brand. Un primo risultato che emerge è che l'86% degli intervistati ha notato la presa di posizione delle aziende contro la Russia. Il 91% di questi, poi, ha rilevato non solo attività di comunicazione, ma specifiche azioni di mercato.

Come ha influito, questo, sull'opinione relativa alle aziende coinvolte? Un 19% dichiara di aver cambiato il proprio parere in negativo, il 30% non l'ha modificato in alcun senso, mentre il 51% risponde di aver modificato la propria opinione in positivo. Vi è quindi un 81% del campione con il quale non si incappa in problemi di reputazione. Prevale dunque l'effetto vantaggioso sia in termini di awareness (memoria e consapevolezza rispetto al brand) che di immagine.

Naturalmente, laddove non si scelga la neutralità, lo zoccolo duro del dissenso e dell'opinione contraria non può che esserci sempre, come in ogni circostanza nella quale ci si esponga pubblicamente. Proprio come i canali si sono differenziati e segmentati, tuttavia, anche le audience sono cambiate, suddivise in cluster più complessi da comprendere, e la cui gestione sembra indicare un'inevitabile direzione di focalizzazione e scelta per intessere relazioni rilevanti.

Come sottolinea Capeci, "Oggi l'azienda è un soggetto sociale a tutti gli effetti, ed è impossibile prescindere da questo. La decisione sul prendere o meno posizione di un certo tipo non deve dipendere dalla ricerca, magari temporanea, del consenso del consumatore, ma dalla coerenza di quel posizionamento rispetto a tutte le altre azioni aziendali e relative promesse, che poi si deve essere disposti a mantenere. Chiuderò quindi i negozi in tutti i Paesi dove ci sono determinate condizioni di mancato rispetto dei diritti umani? Si tratta solo di un esempio, ma il punto è non agire sull'onda dell'emotività, bensì di scelte ragionate".

Oltre a comprendere i propri utenti/consumatori in modo più profondo, quindi, le aziende sono chiamate a gestire la loro identità a livello più ampio, non solo di comunicazione e linguaggi, ma anche di modello di business e visione sul lungo termine. Altrimenti gli stessi che oggi ci elogiano per la buona azione quotidiana domani ci additeranno per manifesta ipocrisia o incoerenza. La ricerca del consenso, magari dei facili click, è una bussola ben diversa dal purpose, ma ha il vantaggio di dare frutti sostenibili, nel vero senso di duraturi. È la nota favola del costruire una casetta di mattoni, solida e resistente ai lupi cattivi così come alle avversità contestuali, anziché una casetta di paglia, pure confortevole, ma che al primo soffio vola via.

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