I 10 guiding principles del retail marketing

Dall’ultimo libro di Philip Kotler, le linee guida per affrontare un mondo che cambia alla velocità digitale. Ne parliamo con il coautore Giuseppe Stigliano (da Mark Up n. 275)

“Dobbiamo fare una guida con i 10 guiding principles”, questa l’idea del guru del management -così come lo ha definito il Financial Times- Philip Kotler per la realizzazione del suo ultimo libro Retail 4.0, scritto a quattro mani con Giuseppe Stigliano, docente di retail marketing innovation ed executive director Europe di Akqa. Com’è nello stile di Kotler, non si tratta solo di un vademecum bensì di una risorsa strategica per porsi delle domande al fine di affrontare un mondo che cambia alla velocità digitale da fronteggiare con strumenti di nuova generazione. Un volume che ha l’obiettivo di affrontare il presente per essere vincenti nel prossimo futuro. Ne parliamo con il coautore.

Quali sono i principi strategici e di marketing che guidano il futuro del mondo retail nell’era digitale?

Abbiamo individuato 10 linee guida con le quali le imprese distributive, e non solo, possono confrontarsi per crescere e potenziarsi in questo momento di profonda trasformazione digitale: be invisible, be seamless, be a destination, be loyal, be personal, be a curator, be human, be boundless, be esponential, be brave. La prima, be invisible ovvero la tecnologia più adatta è quella che rende invisibili. Lo sforzo cognitivo richiesto a una persona per tracciare un’innovazione deve essere minimo altrimenti il prodotto dopo il primo momento di utilizzo è accantonato. La seconda linea guida è be seamless, senza soluzione di continuità.Si fa riferimento al proliferare dei punti di contatto tra marca e persone e alla difficoltà che le imprese hanno nel gestire tutti i touchpoint. Be a destination rappresenta l’idea che i punti di vendita da luogo dove andare diventino luogo in cui si vuole andare. Se il negozio viene proposto come un’esigenza funzionale appiattendo la relazione con le persone, il rischio è quello di essere “uccisi” dal digitale. Occorre dare alle persone delle esperienze, delle ragioni per andare.

Il quarto principio, be loyal, suona quasi come una provocazione …

In effetti lo è. I retailer hanno sempre pensato che loyalty fosse un modo con cui clienti dimostrano la fedeltà alle insegne. In realtà loyalty significa quanto i retailer siano fedeli nell’assecondare i bisogni dei consumatori. Esattamente il contrario …

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Be Personal, personalizzazione di un prodotto, di un servizio, di una relazione. Occorre però fare distinzione tra customizatione e personalization. Creare un cluster di persone che condividono gli stessi gusti e contattarle con newsletter significa customization, utilizzare i dati delle persone per dar loro ciò di cui hanno bisogno generando l’effetto “wow” è personalization. Be a curator. Nel mondo retail non si può più immaginare che i punti di vendita siano luoghi dove esporre i prodotti in ottica di ampiezza e profondità e attendere che il cliente venga ad acquistarli perché ne ha bisogno. Questa esigenza viene soddisfatta meglio online. Lo store deve diventare un curatore, lavorare in termini di qualità e di cura, aggiungere valore. Il settimo principio be human racchiude tre elementi: servizio - a misura d’uomo, socialità - dare l’opportunità ai pdv di tornare a essere dei luoghi di aggregazione, e sostenibilità - mettere al centro l’uomo. Essere senza confini, ovvero be boundless, vuol dire smettere di pensare che fare i retailer significhi aspettare il cliente nel negozio ma, viceversa, uscire dai confini e andare verso il consumatore. Be exponential, provare tutte le formule e collaborare con ecosistemi esterni, fare leva su asset proprietari di terze parti in modo da esternalizzare il rischio senza dover sostenere tutti i costi di innovazione. E infine, be brave, siate coraggiosi. Viviamo in un mondo dove l’unica costante è il cambiamento e l’aggravante è che il cambiamento è esponenzialmente veloce. Stare fermi è sbagliato, si rischia di essere buttati fuori dal mercato. Occorre allenare i muscoli del coraggio.

Ricerca di personalizzazione, ma anche spinta a dotarsi di strumenti digitali che tendono a standardizzare i processi. Come si conciliano le due realtà?

Nelle botteghe, nei bar, di una volta il cliente veniva riconosciuto e servito con un semplice “il solito”, quella era la personalizzazione del servizio ed era l’antitesi della standardizzazione. Oggi il digitale promette la personalizzazione in scala ovvero di usare i dati delle persone per arricchire la capacità di erogare un servizio personalizzato. Per esempio, un farmacista attraverso software di activity tracking potrebbe raccogliere i bio ritmi dei clienti e attivare una consulenza personalizzata declinata per attività fisiche e stato di salute. Il rischio di standardizzazione c’è, occorre usare il digitale in modo intelligente per generare un’opportunità.

La tecnologia è uno strumento facilitatore. Lo sono anche i brand?

In un mondo in cui la simmetria informativa si è ridotta e le persone accedono alle informazioni velocemente, forse i brand devono rimettere in discussione la loro funzione, devono evolvere diventando partner delle persone. Devono sviluppare una relazione basata sul valore che è definito dai bisogni delle persone. La tecnologia in tutto questo ha un ruolo di abilitatore ed entra in gioco solo se ha senso.

Tre parole chiave per il 2019

Omnicanalità, brand APIs e sostenibilità. La prima, omnicanalità, non è un tema nuovo ma è un’area dove porre ancora molta attenzione. Occorre fare in modo che si realizzi velocemente perché i consumatori se l’aspettano. Brand APIs, riprende i software api ovvero quei protocolli utilizzati per mettere un’applicazione in comunicazione con un’altra, significa collaborare con l’esterno. La value proposition non può più essere sviluppata internamente, ma occorre avvalersi di partner esterni, contaminarsi. Infine, sostenibilità, un termine che non ha solo accezioni ambientali, ma anche economiche e sociali.

 

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