I brand creano mondi artificiali?

Le marche entrano nella vita delle persone con le loro narrazioni. Il rischio è di perdere quel rapporto simmetrico che è l’unica garanzia di una relazione sana a lungo termine. Al bando stereotipi e pregiudizi (da Mark Up 299)

“Ogni cosa che vogliamo, ogni cosa che abbiamo paura di non avere, ogni cosa che alla fine decidiamo di comprare è perché a conti fatti noi vorremmo avere l’amore, vorremmo avere più tempo e temiamo la morte”. Il monologo di Will Smith in Collateral Beauty sintetizza perfettamente il nostro bisogno di contatto con qualcosa che ci aiuti a risolvere questi bisogni archetipici, cioè queste spinte interiori a cui diamo immagini e nome, che ci accompagnano da millenni. Amore, tempo e morte sono le principa li astrazioni che ritualizzano e consacrano le nostre azioni, trasformandole in episodi che intrecciati formano la nostra identità; vale per i singoli e vale per le organizzazioni. Tutta la mitologia occidentale ci ha indotti nei millenni a vedere la nostra esistenza come un filo che interpreta il destino: le Moire greche, le Parche romane, le Norme scandinave hanno disegnato l’immagine del nostro viaggio nel mondo.

Ma cosa c’entrano i brand?

Le marche possono essere narratori o parte della storia delle persone: sono desiderio, soluzione, rinuncia, sacrificio. Scandiscono il tempo dando forma agli episodi della vita, che messi in trama contribuiscono a costruire l’identità delle persone. Per sopravvivere, continuare a produrre e creare lavoro, devono mettere mano all’immaginazione delle persone, sedurle e, come in qualunque tipo di manipolazione, può nascerne un gioco di reciproco vantaggio o una trappola con costi indiretti non calcolati per chi ne è oggetto. La manipolazione è quasi inevitabile nella comunicazione umana: basti pensare al saluto, strumento semantico all’interno del quale inseriamo un’aspettativa di risposta e quindi di comportamento. In quello che Paul Watzlawick chiamerebbe un gioco di punteggiatura, non sapremo mai se sono i bisogni a creare i prodotti o i prodotti a scatenare bisogni, e se questi ultimi sono dannosi per le persone o le portano a sviluppare nuove ambizioni. Se la società è indotta a trovare la propria identità attraverso le marche, le stesse marche rischiano di causare esclusione e disagio per chi fatica ad accedervi. Così il contenuto del brand e il suo valore (come Nike e la sua importante storia creativa, come raccontata da Tinker Hatfield nel documentario Abstract, the art of Design) rischia di scomparire, trasformando il love mark in un hate mark, emblema di una frustrazione sociale che porta disuguaglianza e violenza. Ecco cosa c’entra l’amore e la sua cura nello studio e nella comunicazione di un brand. Come ci ricorda Alain De Botton nel suo “L’importanza di essere amati” l’amore non è solo quello romantico, ma è il rispetto sociale, l’attenzione di chi abbiamo intorno, l’aspirazione di essere notati dalle persone a cui vogliamo assomigliare, perché nel nostro personale copione ci permettono di raggiungere il finale desiderato.

Un nuovo punto di osservazione

I marchi sono consapevolmente complici di questa autostima, perché operano sull’immaginazione e sulle aspettative. La bella campagna di Lavazza Good Morning Humanity ha avuto i suoi detrattori, perché ritenuta politica e buonista, ma il brand ha deciso di scegliere il suo pubblico. L’accusa ai brand è di creare mondi artificiali e dunque confini, che costringono a parlare di inclusione e, specularmente, di esclusione. Il tema del futuro potrebbe essere: come dare forma all’immaginazione senza trasformarla in aspettative, fonti di frustrazioni? Forse dissacrando. O ritornando ad ammettere che una marca racconta il prodotto e inventa per divertire, per giocare con la quotidianità senza ispira re storie di successo, perché facendolo si potrebbe creare un modello di fallimento. Se le cose sono troppo serie bisogna non prenderle troppo sul serio, iniziando dal togliere un po’ di ego al brand.

TRE FORZE ARCHETIPICHE

Secondo Stephen Gilligan e Robert Dilts, due esponenti della Pnl (Programmazione neolinguistica), tre forze archetipiche condizionano le nostre relazioni: tenerezza, ferocia, giocosità. I due psicanalisti hanno individuato come si possano impiegare queste tre forze in modo distruttivo o evolutivo e ne citano il lato ombra e il lato risorsa. La tenerezza è negativa quando si esprime in sentimentalismo e dipendenza; genera nuovo valore quando ha aspetti di calma e empatia. La ferocia può essere vissuta come aggressività e violenza o, in maniera evoluta, come determinazione, coraggio e impegno nel difendere i confini di ciò che riteniamo importante. La giocosità, infine, è, nel suo lato ombra, superficialità, ma nel suo lato risorsa, creatività e superamento degli schemi: è la principale forza archetipica di cambiamento. La risata (non sarcastica) rende accessibile un modo nuovo di vedere il mondo

#LOVEASYOUARE DI CONTROL

Cambia il modo di vedere l’amore in un modern love legato al piacere, dissacrato dalla patina irreale, variegato e senza tabù. Ma soprattutto imperfetto. La campagna di Control, realizzata da Dude, comprende il video Beautiful imperfect sex e in collaborazione con Greta Tosoni, founder e capo redattrice di Virgin and Martyr, i ritratti di tanti e diversi momenti di intimità tra le strade di Milano. Secondo Tosoni “solo prendendo consapevolezza della moltitudine di possibilità smetteremo di attaccarci a pregiudizi e stereotipi, vivendo liberi”

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