Nell’era della crisi permanente ("Permacrisis"), dalla lettura dei dati strategici di un centro commerciale può discendere una visione diversa sul futuro


Nel solco della più classica delle tradizioni, anche noi attori del retail real estate ci troviamo all’inizio di un nuovo anno a tratteggiare un quadro di quanto ci ha lasciato il 2022 e a lanciare uno sguardo sui mesi che ci aspettano. Non più che pochi mesi ormai, perché è sempre più difficile prendere in considerazione lassi temporali più estesi, data la perdurante situazione di incertezza che da anni ci accompagna e sembra voler diventare, oltre che cronica, anche sinonimo di costante instabilità, tanto da indurre la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ad aprire un suo discorso di qualche tempo fa scomodando un termine quantomeno nefasto, “Permacrisis”: neologismo che indica un periodo esteso di instabilità e insicurezza, una “crisi permanente”, per l’appunto. Termine che è stato addirittura insignito del titolo di “Parola del 2022” dal dizionario britannico Collins.

Ma ecco che proprio in una lettura etimologicamente più corretta del termine possiamo trovare il germoglio di una modalità nuova di vivere il momento presente. Come forse giova ricordare, l’origine greca della parola “crisi” (krisis) non ha nulla a che vedere con momenti in cui emergenze continue si susseguono senza tregua su più fronti, quanto semmai con una fase cruciale dell’attività agricola, e per esteso possiamo dire della vita di tutti: ci riferiamo alla separazione del grano dalla pula; da cui il senso più vero del termine crisi: “discernimento, separazione, giudizio” e, in ultima analisi, “punto di svolta”. Credo che proprio in questa visione originariamente ottimistica del termine vada ricercato lo stimolo per una propositività nuova con cui approcciare il 2023. Ma partiamo dall’anno che si è appena chiuso.

Non vogliamo qui fare riferimento ai trionfalismi di alcune dichiarazioni che vedono un settore ormai in piena ripresa e con risultati paragonabili, se non superiori, al periodo precedente alla pandemia, almeno sul fronte dei fatturati aggregati delle polarità commerciali. Non è il luogo per analizzare nel dettaglio i numeri citati da tali dichiarazioni, ma ci limitiamo ad apprezzarne l’intento ottimistico e positivo, di certo ammirevole ma ahimè facilmente confutabile. Ci piace fare riferimento invece a quanto emerso dal recente report realizzato da Reno, promossa dall’Osservatorio Retail Real Estate di Confimprese. Quest’anno l’Osservatorio ha monitorato il comportamento dei consumatori anche attraverso gli andamenti del footfall, grazie all’uso di sofisticati strumenti di geodata intelligence a base di algoritmi e intelligenza artificiale. Il dato principale indica che il 77% delle visite negli shopping center sono di clienti abituali e mediamente durano 59 minuti. Il visitatore sembra essere sempre più ripetitivo, poco interessato alla visita e alla scoperta. E anche “la distanza che è disposto a percorrere per raggiungere il centro commerciale si riduce a una media di 22 minuti -precisa Confimprese- complice l’aumento del costo del carburante e la mancanza di grandi driver shopping. In pratica il concetto di prossimità si conferma essere il valore cardine”.

Come dire: ok abbiamo cominciato un percorso di risalita, fatto di un graduale ritorno alla frequentazione delle polarità commerciali più grandi (quelle più colpite negli ultimi due anni, e forse quelle che più interessano certa parte del mercato), ma i segnali che evidenziano la necessità di un ripensamento sono forti e chiari. E del resto lo erano già prima che venissimo tutti travolti dai recenti tsunami. Insomma, per riprendere Confimprese, “l’Italia evidenzia un mercato maturo, che ha provato a svecchiarsi con poco successo e che deve trovare nuove formule per tornare attrattivo (…) dare forma al commercio contemporaneo, capace di costruire un’esperienza per il proprio cliente e riaffermare la sua supremazia sull’online. (…) Non sono bastati alcuni accorgimenti come l’ottimizzazione della proposta commerciale o la customizzazione della shopping experience”.

Anche perché, come abbiamo già avuto modo di dire da queste pagine in passato, cosa si sta davvero facendo in termini di esperienzialità nel nostro settore? Al di là di qualche esempio virtuoso o caso isolato, comunque da celebrare, il rischio è di una tendenza alla semplificazione, alla riduzione a imprecisate forme di “leisure”, di sedicenti modelli di svago o di aggregazione sociale. Ribadiamo, riprendendo le parole di Luca Verpelli, ad di Odos Group (Mark Up 313, pagg.188-189) che “il caposaldo imprescindibile per una polarità commerciale non può che essere ancora un azzeccato mix merceologico e di servizi, costruito sulla base non di modelli statistici standardizzati ma di una profonda e meticolosa conoscenza del territorio dove insiste la struttura. Le informazioni devono essere interpretate grazie a una assai pragmatica e fisica conoscenza del territorio, inteso quale substrato socio-economico del cliente, dei suoi fabbisogni, dei suoi modelli di fruizione”. Ciò significa che, oltre a una lettura quantitativa dei dati, imprescindibile e quanto mai necessaria, è essenziale indagare anche gli aspetti più qualitativi e soprattutto motivazionali che generano i numeri osservati. Altrimenti il rischio è di limitarsi a una osservazione ex post dei fenomeni senza avere la capacità di interpretarli e, soprattutto, di prevederli con l’obiettivo di trovare quelle formule che permettano al mercato di tornare attrattivo. Ed è proprio con un’analisi profonda e non meramente quantitativa che si possono individuare e seguire strade nuove e raggiungere risultati insperati, apparentemente inspiegabili. Appare quindi evidente quanto si diceva in apertura: è importante indagare e conoscere, per poter affrontare al meglio il momento della crisi, intesa come momento del discernimento, della separazione. Soprattutto momento della svolta.

L’ESEMPIO DI BEINASCO

Odos Group sta lavorando con successo sulla più recente porzione retail che sorge a fianco dello storico centro commerciale Le Fornaci a Beinasco. Quest’area più recente, di proprietà di Building SpA, è al centro di una riprogettazione commerciale (che prevede anche il rebranding) di estrema complessità per la completezza commerciale del bacino, per le caratteristiche di lay-out dell’immobile esistente, e per il passato commerciale dell’intervento stesso. Dove però nessuno ha mollato la presa: impegnandosi in un grande lavoro di squadra, la collaborazione Building-Odos Group ha permesso di mettere a punto un progetto a partire da una visione basata sulla minuziosa conoscenza del territorio, che pian piano sta diventando realtà. E dove la recente apertura di un punto di vendita Action ha riportato l’interesse, e l’affluenza, che fanno pensare di essere sulla strada giusta. Di essere al punto di svolta.

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