I consumatori italiani sempre più fedeli alla qualità

Un’attenzione spasmodica al prezzo, non disponibile a compromessi sul prodotto. Ecco la sfida dei prossimi anni per i retailer (da Mark Up n. 274)

McKinsey & Company, come ogni anno, ha diffuso un’importante ricerca a livello globale che analizza il comportamento dei consumatori soprattutto nel largo consumo. È un barometro rilevante per l’industria perché individua i trend in atto. Mark Up ha incontrato come ormai consuetudine Marco Catena, partner di McKinsey, per approfondire gli aspetti maggiormente rilevanti.

Andiamo subito al punto. Dopo anni di depressione dei consumi è realmente cambiato qualcosa?

Sì, ci sono buone notizie anche se la prudenza è d’obbligo. Rispetto al passato, nel 2017 si registra un saldo positivo tra i consumatori che hanno effettuato trade up nei loro acquisti rispetto a quelli che hanno fatto trade down. Dopo anni di decrescita, il 2017 è il primo anno in cui si registra una netta inversione di tendenza.

Aumenta il potere di acquisto o la volontà di acquisto? In altre parole, come gioca il sentiment?

Non abbiamo dati quantitativi derivanti dalla ricerca che possano dare una risposta netta, ma credo si possa dire che sia la volontà di acquisto ad aver guadagnato propulsione. Il dato emerge dai trend. Il consumatore -soprattutto italiano- è disposto a fare trade up per acquistare prodotti di qualità superiore o che soddisfano nuovi bisogni emergenti.

Se per l’industria è un dato positivo, può festeggiare anche la distribuzione?

Si tratta di una dinamica diversa. Il consumatore, soprattutto quello italiano, è estremamente attento al prezzo. Per i retailer la convenienza è e sarà un fattore necessario di attrazione e fidelizzazione. Questo obbligherà sempre più i retailer tradizionali a ridurre in modo sostanziale la propria struttura di costo per proteggere la propria marginalità (fenomeno che vale in tutto il mondo occidentale) e garantire un adeguato ritorno del capitale investito sulla rete fisica. E non si tratta di un percorso facile perché molto è già stato fatto, ma la sfida è continuare a migliorarsi, soprattutto perché i nuovi operatori digitali stanno combinando un elevato livello di servizio con una convenienza distintiva. E il consumatore italiano non ha remore. È disposto a posticipare un acquisto o a fare trade down su prodotti generici per effettuare trade up su categorie di maggiore interesse e, non di meno, a cambiare retailer per raggiungere il suo scopo.

Con questo tipo di consumatore, quali le maggiori criticità per i retailer?

Come detto in precedenza, sicuramente far evolvere il proprio modello operativo per ridurre significativamente la propria struttura di costo. Ma al contempo cogliere nuovi motori di crescita adeguando formati e offerta alle diverse abitudini di consumo, accelerare l’efficacia sui canali online e offrire ai propri consumatori un’esperienza di acquisto sempre più personalizzata. Gli operatori digital native stanno infatti definendo nuovi standard con modelli di business molto più snelli, meno labour intensive e più innovativi.

Tutto questo scenario cosa fa presagire?

Siamo agli esordi di una rivoluzione copernicana che coinvolgerà il mondo della distribuzione. Ma i retailer fisici hanno un grande vantaggio: il presidio del territorio attraverso i punti vendita, che possono essere maggiormente valorizzati secondo una logica di piena omnicanalità. Come? Facendo evolvere la propria rete fisica verso un modello ibrido che includa servizi di home delivery o di click&collect, sfruttando il proprio vantaggio di prossimità al cliente finale (che gli operatori online non possiedono).

E in termini di impatto della tecnologia, quali gli spazi di manovra?

Anche in questo caso la distribuzione, soprattutto italiana, ha ampi spazi di miglioramento per quanto riguarda l’uso delle tecnologie più moderne, in particolare automazione, digitale e analytics. Anche per la parte di back office, dove si gestiscono le operations, i benefici potenziali in termini di risparmio dei costi sono molto elevati.

Ritornando alla multicanalità, come si approccia la progettualità in modo contestualizzato?

Innanzitutto, occorre verificare quale sia la penetrazione e l’importanza del digitale nel settore in cui si opera. Poi è necessario garantire un livello di servizio in linea con gli standard degli operatori nativi digitali. I clienti non fanno sconti e disattendere le loro aspettative può avere conseguenze irreversibili. Infine è necessario essere realistici sulle competenze interne e le capacità di investimento di ogni singola azienda. Vista la rapidità dell’evoluzione tecnologica e dei cambiamenti delle abitudini di acquisto degli italiani, penso che la maggior parte dei retailer debba costruire rapidamente un ecosistema di partner esterni che garantiscano l’acquisizione rapida di competenze distintive e minimizzino gli investimenti necessari. Ad esempio in Francia, Casinò, pur essendo un operatore di peso che opera nel mercato fisico del grocery, ha sottoscritto un accordo con Ocado per il food eCommerce. Questo perché è stato molto più rapido ed efficace avviare una collaborazione con un player già operativo piuttosto che sviluppare internamente una nuova soluzione. Come risultato, in sei mesi Casinò è sbarcato online con il food delivery.

Non esiste però una sola modalità per l’omnicanalità, occorre infatti identificare caso per caso la soluzione migliore. Un ecosistema ramificato, in cui diversi soggetti collaborano con l’obiettivo di rendere disponibili servizi al miglior livello possibile, può rivelarsi quindi un approccio molto efficace.

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