I nuovi volti della pubblicità italiana

Faccia a faccia con i creativi di ieri, oggi e domani, per un viaggio che evolve insieme alla nostra storia (da Mark Up 256)

Cosa significa oggi fare pubblicità in Italia? Quale futuro si prospetta per lo scenario della comunicazione tra televisione e nuovi media? Per rispondere a queste domande partiamo da una conversazione con l’ultimo dei grandi guru, Gavino Sanna, che dopo aver dato vita a un’intera epoca pubblicitaria, quella del post Carosello, ne saluta il volgere al termine con quello sguardo che solo chi ha fatto scuola può permettersi di avere. La parola passa poi alle menti creative del nostro tempo, al confronto su sfide e ambizioni di una contemporaneità dove il rapporto con la committenza è cambiato insieme al modello lavorativo e alle esigenze di business.

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Foto di Chiara Bertoletti - © Mark Up

Si è ritirato dalla scena affermando che “la pubblicità è morta”, lo pensa ancora?
Sì, non ho cambiato idea. A essere morta è la mia pubblicità. il mio modo di parlare con la gente.

Perché?
È una questione di impoverimento culturale, di involgarimento del linguaggio e di mancanza di capacità. Non mi piace come molti fanno le cose oggi, con questo tentativo costante di suscitare clamore e scalpore. Secondo la mia filosofia bisogna bussare alla porta delle case italiane, prendere il cliente per mano e accompagnarlo dove si vuole che lui vada.

Lei che è il papà dei buoni sentimenti, ci sta quindi dicendo che i buoni sentimenti non sono obsoleti?
Proprio così. Questa cosa del mondo che cambia è solo una giustificazione. Le persone vorranno sempre essere felici, avranno sempre bisogno di umanità. E noi pubblicitari dobbiamo parlare alla gente, non alle nicchie. La semplicità è una cosa davvero straordinaria.

Non c’è il rischio di essere ripetitivi?
Se si ha talento si può raccontare la normalità in mille modi diversi, rendendola qualcosa di meraviglioso. Stupire le persone facendo i furbetti, utilizzando atteggiamenti ambigui e raccontando storielle non è una comunicazione corretta e che paga nel lungo termine. Diventare noti è facilissimo, ma se non si costruiscono basi solide tutto svanisce, come dopo un innamoramento.

Per questo decise di rompere la formula del Carosello?
Esatto. Carosello era un imbroglio, che non vendeva niente ma intratteneva. Se la pubblicità ancora oggi non brilla in Italia è perché restiamo figli del Carosello. Negli Stati Uniti la faccenda è ad esempio diversa.

Non c’entreranno anche le aziende?
Certamente. Come dico sempre: bisogna essere in due per ballare il tango.

In tutto questo, la tecnologia dove sta?
La tecnologia dovrebbe stare al suo posto. Io non sono contrario a questi nuovi strumenti, li ritengo un mezzo dal grande potenziale, che un pubblicitario deve saper controllare come qualunque altro canale. Il lavoro del creativo, però, viene prima e non lo può fare una macchina. Lo dicevo già ai miei ragazzi quando iniziavano a usare il computer.

A seguire le interviste di:

Daniele Cobianchi (McCann Worldgroup Italy)

Sergio Rodriguez (Jwt)

Nicola Belli (Armando Testa)

Francesco Bozza (Leo Burnett Italy)

Roger Botti (RobilantAssociati)

Giuseppe Mastromatteo (Ogilvy & Mather Italy)

Stefano Tumiatti (Cayenne)

Fiorella Passoni (Edelman Italy)

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