Il bene del Paese prevale sul bene della politica

Mi auguro di tutto cuore che mentre state leggendo queste righe l’Italia abbia ancora un governo in carica. (da Mark Up 222)

E che continui ad averlo per tutto il tempo necessario a portare a compimento il riassesto del Paese, anche attraverso le indispensabili riforme da tempo promesse e mai attuate.
Il dubbio sulla sopravvivenza del governo (mentre scrivo è il pomeriggio del 21 agosto) è del tutto legittimo: sulla strada dell'esecutivo Letta ci sono a breve scadenza almeno due ostacoli difficili da superare.
Il primo è la questione dell'abolizione totale dell'Imu: nessuno, nemmeno nel centro destra che ne ha fatto una questione di bandiera, crede davvero che si tratti di un intervento utile a rilanciare l'economia. Ma essendo una questione di bandiera viene portata avanti con (legittimo per chi l'ha proposta, sia chiaro) rigore e intransigenza. Sarà difficile sminare il campo, anche per un abile mediatore come Enrico Letta.
Il secondo ostacolo, ancora più difficile e per molti allo stato attuale insormontabile, si presenterà (ma ripeto, mentre leggete probabilmente si è già presentato) il 9 settembre, quando al Senato si riunirà la giunta per le elezioni chiamata a decidere sulla decadenza di Silvio Berlusconi dopo la sentenza della Cassazione.
Al momento il risultato appare scontato (14 a favore della decadenza, 9 contrari) e se così fosse sarebbe davvero difficile ipotizzare una tenuta del governo.
Mentre tutti ci arrovelliamo intorno a questi temi, che sono fondamentali per la sopravvivenza del governo, perdiamo però di vista il vero tema: che è la sopravvivenza del Paese. Per la quale la tenuta del governo, fino al compimento del cammino intrapreso, è fondamentale. Non è possibile, per nessuna persona di buon senso, fingere di non capire quali contraccolpi negativi ci sarebbero in caso di crisi di governo, proprio all'inizio di una ripresa agganciata con molta fatica e dopo una lunga serie di pesanti sacrifici sostenuti da tutti gli italiani, elettori “di chi” non fa differenza. Eppure il rischio di vanificare i risultati finora ottenuti viene paventato e addirittura rinfocolato ogni giorno proprio da chi, il governo, lo dovrebbe sostenere. Questioni importantissime, per carità, ma comunque subordinate al bene del Paese, diventano principi irrinunciabili sull'altare dei quali sacrificare ogni cosa.
Sembra un moderna riedizione del “muoia Sansone con tutti i filistei”, e non è un bel vedere dato che le larghe intese sono state necessarie proprio per far fronte a un momento drammatico per l'Italia, i suoi abitanti e la sua economia. Stiamo vivendo una situazione paradossale: come se durante una guerra (vera) i partiti politici si dividessero quotidianamente su quale nemico combattere, su quale arma usare e ponendo veti sulle forze da impiegare in battaglia.
La crisi dalla quale stiamo forse uscendo è stata davvero come una guerra, negli effetti economici e nella capacità di distruggere il tessuto industriale di un Paese. Chi non lo capisce, a destra o a sinistra fa poca differenza, e continuerà a sventolare interessi propri anteposti a quelli dell'Italia (tutta l'Italia, non una parte di essa) ne porterà il peso davanti alla storia. Peccato che, a quel punto, avrà fatto anche danni probabilmente irreparabili.

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