Il GDPR: un nuovo patto tra retail e clienti

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 271)

La recente entrata in vigore del Gdpr ha certamente posto il retail di fronte a tante sfide, a partire dalla necessità di ottemperare a una serie di disposizioni di grande impatto su sistemi informativi e organizzazione interna per la gestione dei dati dei propri clienti.
Quanto occorso col caso Cambridge Analytica ha reso evidente come il tema della protezione dei dati sarà sempre più importante: se negli Usa è in corso un dibattito sulle lacune di una normativa alquanto lasca sul tema, in Europa i cittadini hanno avvertito quanto i propri dati possano essere potenzialmente in pericolo. Proprio partendo da queste evidenze sarebbe opportuno che il retail cogliesse l’opportunità data dal nuovo Gdpr per ripensare al ruolo dei dati.
Infatti, se è vero che da anni il tema dei big data è sul tavolo (da ping pong) di Cmo e Cio, è anche evidente quanto ancora manchi nel retail una cultura del dato come cardine della relazione con i propri clienti. Il fatto che questi permettano al retail di registrare, analizzare e utilizzare i propri dati (dalle info socio demografiche, alle transazioni ecc.) dovrebbe poggiare su un accordo chiaro -un do ut des- che dichiari come si intendano valorizzare i dati per trasferire valore ai propri clienti.
È sufficiente leggere però una informativa privacy per capire come questo patto non venga mai dichiarato, trincerandosi dietro arzigogolati riferimenti normativi.
Eppure i dati costituiscono, a ben pensarci, la memoria della relazione tra cliente e retail e hanno per questo un incredibile valore (per entrambi): valorizzarli è obiettivo strategico. Il retail non deve vedere il GDPR non come uno scoglio da superare, ma come un punto di partenza nella relazione con la propria clientela.

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