Il laboratorio di MARKUP – Cambiamenti sì, ma non di qualità nell’evoluzione della Gda

Articolo pubblicato su MARK UP 100/101 gennaio/febbraio 2003 – Evoluzione dalla nascita di Markup il laboratorio ha monitorato i punti di vendita della GDA

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Con il suo Laboratorio MARK UP ha seguito, numero per numero, l’evoluzione
dello scenario concorrenziale della Gda dal 1994 a oggi. In occasione del numero
100 tentiamo un’analisi dei principali cambiamenti che hanno caratterizzato
il settore, cercando soprattutto di capirne le linee evolutive. L’analisi,
pur partendo dai numeri, è necessariamente qualitativa, cercando di disegnare
il “profilo delle cose che verranno”. Il limite, o il pregio, di
tale analisi è quello di partire da indicatori operativi, quali la competitività
di prezzo, l’ampiezza e la profondit à dell’assortimento, e non
fare riferimento a mission dichiarate o a strategie di comunicazione. Per certi
versi è un’analisi parziale, per altri tiene conto dei fatti reali
e non delle intenzioni o dalle dichiarazioni di volontà.

L’ampiezza e la profondità Il compito primario
dell’architettura di un assortimento à di fornire risposte concrete ai
bisogni dei consumatori, la missione è quella di rispondere alla “customer
satisfaction”. Il compito resta costante sin dal 1994 (e lo rester à anche
in futuro), ma si sono aggiunte variabili importanti che si sono modificate
nel tempo. Per quasi tutti gli anni ’90 le insegne costruivano la loro
immagine a partire dall’ampiezza dell’assortimento, basato essenzialmente
sulle marche leader: erano “marcadipendenti”. La politica di marca
e le attivit à di marketing, se si escludono i tradizionali volantini, erano
praticamente assenti. Il negozio era lo spazio fisico in cui i produttori incontravano
i consumatori. La presenza di marche importanti forniva all’insegna una
sorta di autorevolezza nei confronti della concorrenza. Ma da poco tempo l’ampiezza
dell’assortimento è strutturata in modo tale da attribuire valori
differenzianti all’insegna. In pratica si tenta di affidare all’insegna
un valore di marca e alla struttura dell’ampiezza il compito di costruire
l’autonomia dalle marche dei produttori. In alcuni casi (pochi) alle marche
in assortimento si cerca di dare anche il ruolo di leva concorrenziale: differenziare
e caratterizzare l’insegna nei confronti della concorrenza. La profondità
è la variabile che ha avuto la crescita più forte dal ’94.
Inizialmente aveva solo l’obiettivo di soddisfare pi à bisogni della clientela
(espansione del fresco e della vendita assistita, health care, nonfood ecc.),
in seguito ma solo negli ultimi anni anche il ruolo di caratterizzare l’insegna
rispetto alla concorrenza. Dato questo suo posizionamento strategico, la profondità
dell’assortimento deve essere coerente. In pratica la tipologia delle
categorie trattate e, al loro interno, l’area di approfondimento devono
spiegare al cliente la missione dell’insegna. Dal momento che il punto
di vendita ha uno spazio finito, le due variabili sono strettamente collegate.
Gran parte delle insegne sembra aver privilegiato la profondità passando attraverso
la crescita dell’ampiezza, con marche dal posizionamento differenziante.
In prospettiva le imprese distributive dovrebbero continuare a migliorare il
loro know how nella costruzione dell’assortimento. Questo diventerà la
vera ossatura della strategia d’insegna. Incrociando profondit à con ampiezza
le variabili diventano infinite, con la possibilit à di costruire assortimenti
unici e caratterizzanti. Le analisi del Laboratorio di MARK UP evidenziano che
buona parte delle catene ha capito il ruolo strategico delle insegne, ma anche
che non è facile uscire dalle logiche dell’“acquisto”.
Gran parte dei distributori è ancorata ad architetture di gamma della
prima met à degli anni ’90. La sensazione è che ci à dipenda essenzialmente
dal ruolo determinante della funzione acquisti. Ancora oggi la contribu zione
sembra venire più dal “mark up” di filiera che la Gda riesce
a catturare attraverso una forte aggressività negli acquisti piuttosto
che da una corretta strategia di marketing e di vendita. Tutti gli operatori
della distribuzione parlano di category e di marketing, ma in realt à gli assortimenti
sono spesso costruiti sulle esigenze della funzione acquisti. In questo senso
lo scenario evolutivo dipender à dal coraggio con cui le aziende prenderanno
decisioni strategiche in materia di organigrammi funzionali. Cosa che difficilmente
avverr à nel breve periodo.

Le scale prezzi
La scala prezzi
è una leva che, da una parte, vive di vita propria, dall’altra
è emanazione diretta dell’architettura di gamma. Il suo ruolo è
quello di fornire a differenti fasce socioeconomiche di clientela la possibilit
à di individuare il migliore acquisto all’interno di una categoria. A
patto però che l’insegna costruisca assortimenti molto ampi. Nei
primi anni del Laboratorio gran parte delle insegne era marcadipendente e quindi
le scale prezzi erano piuttosto spartane: il premium price, il leader, la marca
propria e un primo prezzo. In seguito queste sono state ampliate con l’inserimento
della marca con posizionamento di nicchia, due o tre follower, un paio di imprese
locali e la seconda marca propria. Ultimamente per à, prevalendo la logica della
profondit à, le scale prezzi si sono destrutturate, nel senso che la differenziazione
dei posizionamenti delle marche all’interno di una singola categoria è
talmente elevata da non rendere pi à possibile il confronto diretto. Viene quindi
a cadere la motivazione stessa della scala prezzi. Il consumatore tende a cercare
una marca con uno specifico posizionamento che probabilmente corrisponde ad
attributi merceologici particolari; in realt à si tratta di una segmentazione
all’interno della categoria. Le scale prezzi classiche restano unicamente
nelle categorie a elevata rotazione (acqua, pasta ecc.) o dove il margine di
filiera è talmente elevato da giustificare per margini o per contributi
l’affollamento dello scaffale (toiletries). La logica evolutiva è
la stessa della struttura assortimentale: tanto pi à un’insegna porter
à avanti una politica di marca forte (magari con una scelta decisa di target),
tanto meno avr à bisogno di costruire scale prezzi, o comunque lo far à in un’ottica
di leva concorrenziale (differenziazione). All’opposto, l’insegna
debole e/o “generalista” sar à costretta a mantenere scale prezzi
strutturate in modo classico.

La competitività di prezzo
La leva del prezzo è una delle variabili più studiate dai distributori,
che la ritengono lo strumento concorrenziale più efficace. A torto: è
la leva pi à efficace quando mancano forti politiche di marca e di investimenti
di marketing. Il fatto che in Italia sia ritenuta la leva determinante è
la dimostrazione dell’arretratezza del nostro sistema distributivo, soprattutto
a causa della bassa presenza dei punti di vendita della Gda o comunque non tale
da creare vera marketing. Nel medio periodo è probabile che le imprese,
specie quelle multicanale, adotteranno politiche di prezzo altamente differenzianti.
Ma ciò non può avvenire prima di aver definito strutture assortimentali
adeguate e quindi prima di risolvere la “buyer dipendenza”. In fondo,
l’uso eccessivo della leva prezzo è un chiaro indicatore di debolezza.
I primi prezzi La logica dei primi prezzi è del tutto differente da quella
dell’aggressività di prezzo tout court. Il Laboratorio evidenzia una cormatori
sul futuro. Il Laboratorio ha registrato numerosi cambi di rotta da parte delle
piazze, dei format e perfino delle insegne (comprese quelle pi à evolute), quasi
che la variabile prezzo sia indipendente dal posizionamento dell’insegna/format.
A nostro parere si tratta di un indicatore dell’immaturità della distribuzione
nazionale. Solo da pochissimo tempo qualche insegna e/o gruppo sta iniziando
a costruire logiche di prezzo coerenti con il positioning dell’insegna.
Il futuro della leva prezzo è proprio legato alla strategia di concorrenza.
Il Laboratorio dimostra che i differenziali di prezzo fra negozi sono in molte
piazze piuttosto ampi. A volte si ha la sensazione che il “nemico”
sia ancora il dettaglio tradizionale e non le altre insegne.
Dal 1994 le logiche sono cambiate diverse volte, complicate, fra l’altro,
dalle forti diversità delle singole piazze. Esiste comunque una relazione diretta
tra l’aggressività di prezzo e la situazione economica del paese o della
piazza. In particolare, più che al reddito ci si deve riferire al livello
di fiducia dei consumatori sul futuro. Il Laboratorio ha registrato numerosi
cambi di rotta da parte delle piazze, dei format e perfino delle insegne (comprese
quelle più evolute), quasi che la variabile prezzo sia indipendente dal
posizionamento del l’insegna/format. A nostro parere si tratta di un indi
catore dell’immaturità della distribuzione nazionale. Solo da pochissimo
tempo qualche insegna e/o gruppo sta iniziando a costruire logiche di prezzo
coerenti con il positioning dell’insegna. Il futuro della leva prezzo
è proprio legato alla strategia di marketing. Nel medio periodo è
probabile che le imprese, specie quelle multicanale, adotteranno politiche di
prezzo alta mente differenzianti. Ma ciò non può avvenire prima
di aver definito strutture assortimentali adeguate e quindi prima di risolvere
la “buyer dipendenza”. In fondo, l’uso eccessivo della leva
prezzo è un chiaro indicatore di debolezza.

I primi prezzi
La logica dei primi prezzi è del tutto differente da quella dell’aggressività
di prezzo tout court. Il Laboratorio evidenzia una corrispondenza direttamente
proporzionale tra periodo economico e competitivit à dei primi prezzi. Nel 2002
il gap tra questi e quelli medi di categoria è ritornato, dopo una fase
in cui i primi prezzi avevano perso d’importanza, a essere quello del
1994. Si tratta di una leva tattica usata in maniera più o meno pesante
a seconda dei periodi storici. L’aggressività dei prezzi e la penetrazione
nell’assortimento dipendono dal positioning dell’insegna: tanto
più questo à generalista e tanto pi à i primi prezzi sono uno strumento
necessario, tanto più l’insegna è focalizzata tanto meno
ne ha bisogno.
Una cosa è certa: la diffusione dei primi prezzi è legata alla
bassa diffusione dei discount nel nostro paese. In prospettiva la tendenza sembra
essere quella di considerarli un male necessario. Quindi tanto vale farli diventare
una marca propria per cercare di aumentare la marginalit à (come Esselunga ha
sempre fatto). Si è invece riflettuto poco sugli effetti di una marca
propria di primo prezzo sul posizionamento dell’insegna (a meno che questa
non abbia un posizionamento generalista).

La marca propria
La missione originaria della marca propria è quella di generare maggiore
contribuzione per l’insegna, obiettivo costante nel tempo. Nel periodo
in oggetto però i distributori ne hanno accresciuto i compiti, fra cui
quello di costruire il positioning dell’insegna (differenzione dalla concorrenza)
e di darle maggior autonomia nei confronti delle marche.
In questa logica il positioning storico della marca propria era quello di “me
too” del leader. Ma oggi si cerca di costruire un posizionamento che sia
coerente con le strategia dell’insegna, senza però perdere di vista
le caratteristiche della categoria e delle marche all’interno di quel
mercato. Il futuro della marca propria è quello di considerare l’insegna
come la company brand di una grande impresa che opera in più segmenti
di mercato. All’interno di ogni segmento si costruisce poi una politica
di marca autonoma coerente con il mercato e lo scenario concorrenziale dei produttori.
Trasversalmente alle categorie si possono costruire linee di prodotto omogenee
per caratteristiche: il biologico, la freschezza, il servizio, il prezzo ecc.

Anche su questo versante il futuro è legato al know how imprenditoriale.
Quindi, finché non sa ranno presenti competenze specifiche o finché
queste saranno dipendenti dalla funzione acquisti, lo sviluppo della marca propria
sar à piuttosto lento.

Le piazze
Il Laboratorio di MARK UP, nell’ottica del “profilo delle cose che
verranno”, ha impostato già dal ’94 una logica che ha fatto scuola:
il mercato nazionale è la sommatoria di situazioni concorrenziali del
tutto differenti e presenta situazioni diverse in funzione sia del reddito e
dello status sociale sia della cultura e degli stili di vita. La Gda, nata in
un’ottica di centralizzazione di acquisti e di politiche commerciali,
ha faticato a capirlo. Ma ormai i tempi sono maturi. Gran parte delle insegne
sta iniziando a costruire la profondità degli assortimenti, passando attraverso
l’ampiezza, in funzione delle esigenze delle singole piazze. ranno presenti
competenze specifiche o finché queste saranno dipendenti dalla funzione
acquisti, lo sviluppo della marca propria sar à piuttosto lento. Le piazze Il
Laboratorio di MARK UP, nell’ottica del “profilo delle cose che
verranno”, ha impostato gi à dal ’94 una logica che ha fatto scuola:
il mercato nazionale è la sommatoria di situazioni concorrenziali del
tutto differenti e presenta situazioni diverse in funzione sia del reddito e
dello status sociale sia della cultura e degli stili di vita. La Gda, nata in
un’ottica di centralizzazione di acquisti e di politiche commerciali,
ha faticato a capirlo. Ma ormai i tempi sono maturi. Gran parte delle insegne
sta iniziando a costruire la profondit à degli assortimenti, passando attraverso
l’ampiezza, in funzione delle esigenze delle singole piazze.
Nel periodo considerato abbiamo verificato le profonde differenze di comportamento
delle piazze e soprattutto capito che, almeno nel breve periodo, tali differenze
sono destinate ad aumentare. Con buona pace della globalizzazione, l’Italia
resta il paese dei campanili. Le piazze settentrionali sono sempre più
evolute e sempre più Gd dipendenti, quelle meridionali restano arretrate
e soprattutto non mostrano significativi segnali di cambiamento. La Da è
arretrata rispetto alla Gd, ma nel meridione resta di gran lunga l’unica
distribuzione moderna possibile: la Gd non riesce a superare le rigide logiche
su cui è basata la sua strategia e quindi a penetrare in modo efficace,
la Da invece vi si adatta facilmente e risulta pi à concorrenziale. Del resto
la Da non riesce a capitalizzare il suo unico vantaggio rispetto alla Gd: l’autonomia
locale non riesce a trasformarsi in strategie assortimentali corrette, anzi
resta più marcadipendente.
Schematicamente l’Italia della distribuzione si divide in sopra e sotto
Roma. Sopra domina la Gd e le grandi superfici, sotto, la Da e le piccole superfici.
Le insegne e i format possono assumere ruoli differenti a seconda della piazza.
Per esempio, un ipermercato importante, con galleria commerciale, al nord è
un punto di vendita fortemente banalizzato, in cui si pu à fare un ottimo shopping
nell’ottica del risparmio economico e di tempo; al sud diventa un luogo
in cui fare acquisti importanti, d’impulso e a prezzi non certo convenienti.
Due mondi completamente differenti, che resteranno tali anche nel medio periodo.

I format
Nel periodo considerato si assiste anche a notevoli cambiamenti qualitativi.
I supermercati della Gd offrono uno scenario più strutturato e concorrenziale
(dotato di maggiore know how), con leader nazionali e/o di piazza che aprono
nuove vie, ma che vengono immediatamente copiati dalle altre insegne. Nei primi
anni ’90 erano caratterizzati da competitività di prezzo e assortimenti
di elevata ampiezza e fortemente rigidi. Oggi hanno tutti imboccato la via della
flessibilit à e della differenziazione. Ma l à sono rimasti, rinunciando a calibrarsi
in funzione dei consumi locali. Sempre a causa della dipendenza dalla funzione
acquisti. Per questo sono sempre più forti nelle aree in cui sono nate,
ma non riescono a scendere sotto Roma. Solo attraverso l’affiliazione
riescono, in qualche misura, a essere concorrenziali sulle piazze meridionali.
I supermercati della Da seguono un percorso a ritroso: ogni tanto un passo avanti,
seguito da due indietro. In teoria, il suo format supermercato è il negozio
che più si adatta a un mercato campanilistico nei comportamenti d’acquisto;
in realtà, il campanilismo incide in modo negativo nei rapporti tra gli imprenditori
che si associano. Il loro spirito imprenditoriale riesce a mettere a punto progetti
forti e teoricamente in grado di dare fastidio alla Gd, ma il campanilismo non
li fa decollare a causa di motivazio ni che con lo spirito im prenditoriale
non hann niente a che vedere. Il risultato è la forte volatilit delle
politiche di marke ting applicate alle inse gne, per non parlare de frequente
cambiamento dell’insegna stessa, con conseguente bassa fedeltà
della clientela o comunque bassa customer satisfaction. Le insegne della Da
non riescono a capitalizzare sul valore più importante dell’azienda:
l’insegna.
L’ipermercato vive invece un momento felice sia per l’assenza di
vera concorrenza (tranne alcune piazze) sia soprattutto per un vissuto differente
in funzione della piazza. In questo senso, le ipotetiche debolezze diventano
punti di forza. Il caso pi à evidente è quello della rigidit à, anche
se risulta inferiore a quella dei supermercati della Gd. Nati nelle piazze settentrionali,
gli ipermercati faticano a costruire al sud una proposta differente. Ma la funzione
d’uso meridionale del format è tale per cui la proposta assortimentale
e la competitivit à di prezzo diventano coerenti. Di fatto, l’ipermercato
è l’unica tipologia della Gd che riesce a entrare con successo
nelle aree meridionali.
Il discount invece vive andamenti alterni in funzione della contingenza economica
del paese. Al boom dei primi anni ’90 in un’ottica hard è
seguita una flessione della diffusione e un cambiamento di rotta verso logiche
pi à soft. Salvo poi capire che il discount, se deve esistere, deve essere hard
(altrimenti si tramuta in superette). Oggi siamo in una nuova fase dove, a fianco
della leva prezzo, si fa strada una differenziazione in funzione dell’ampliamento
di gamma (verso il fresco o verso le marche). Anche per questo format le differenze
geografiche sono fondamentali. Per assurdo, fatica a crescere nelle regioni
meridionali, dove in teoria è pi à forte la domanda, a causa della difficolt
à di gestire in modo competitivo format che hanno nell’efficienza gestionale
la leva pi à importante. Non a caso al sud si stanno imponendo insegne locali
di imprenditori abituati a operare in modo pi à competitivo delle insegne nazionali.

Le insegne
A livello di insegne i trend non sono così evidenti come per le variabili
analizzate finora. La sensazione è che dal 1994 molte insegne abbiano
pi à volte cambiato strategia (il Laboratorio non misura le variazioni assolute,
ma in relazione ai concorrenti). Se un’insegna non si muove mentre le
altre si evolvono, risulta come se fosse regredita. Comunque appare con evidenza
che si prospettano cambiamenti importanti nelle strategie delle insegne e dei
gruppi legate al gruppo strategico. I gruppi multicanale opereranno sempre pi
à nella differenziazione del format. Il caso pi à significativo è quello
di CarrefourGs, impostato alla massima indipendenza alle tre insegne/format.
DìxDì si sta orientando sempre pi à verso il negozio di vicinato:
servizio, freschezza e vendita assistita, in concorrenza diretta con il tradizionale.
Carrefour ha un posizionamento da manuale per il suo format: di tutto e di pi
à, al giusto prezzo. Gs tende a diventare il supermercato nazionale evoluto
con una buona flessibilit à di piazza in modo da competere con le imprese locali.

La logica delle altre insegne dipende dagli obiettivi imprenditoriali. Coop,
come leader, è costretta a operare su tutte le leve concorrenziali e
su tutte le fasce di clientela. Deve quindi ottimizzare tutte le variabili:
dalla competitivit à di prezzo alla profondit à della marca propria, dai primi
prezzi all’architettura di gamma. Cio è condannata a controllare
globalmente la filiera di ogni singola categoria. Le altre insegne, invece,
possono scegliersi il target di riferimento e costruire la strategia corrispondente.
Solo Esselunga, però, sembra aver adottato le strategie adeguate.

Allegati

MARKUP 100/101 – Cambiamenti sì, ma non di qualità nell’evoluzione della Gda.pdf

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