Il LifeWear di Uniqlo approda a Milano

Aldo Liguori, global director corporate pr di Fast Retailing, che tra i numerosi marchi annovera anche Uniqlo, racconta l’ingresso del brand nel mercato italiano (da Mark Up n. 283)

Aldo Liguori, napoletano di nascita, la sua vita adulta l’ha vissuta quasi tutta in Giappone. “Sì, sono andato là con i miei genitori nel 1974 ma non ci volevo andare, volevo cominciare gli studi universitari a Washington Dc e intraprendere la carriera diplomatica. Invece faccio pr da 30 anni”. Liguori, in Italia per l’inaugurazione dello store Uniqlo a Milano, è il global director corporate Pr di un gruppo enorme di proprietà di Tadashi Yanai, chairman, president & ceo di Fast Retailing.

“Il signor Yanai -spiega Liguori- è il fondatore e il Ceo del gruppo, perché nel gruppo Fast Retailing ci sono otto brand, forse Uniqlo è il più conosciuto, però abbiamo anche la fascia più alta: Theory, Helmut Lang, Comptoir des Cotonniers, Princesse Tam-Tam”

Oggi, però, parliamo di Uniqlo. Cominciamo dallo spazio di vendita: voi siete conosciuti per le vostre metrature enormi: come avete conciliato il vostro format con un palazzo d’epoca come quello di Cordusio?

A Milano, come anche a Copenhagen e Stoccolma, noi siamo sempre molto rispettosi delle origini degli spazi in cui apriamo. In Giappone è più semplice, perché c’è l’usanza di abbattere e ricostruire, quindi ogni 25-30 anni si abbatte. Per Cordusio abbiamo conservato e protetto il palazzo originale, il negozio è su tre piani, con una bellissima scala che gira ... un bel feeling tra pezzi originali e contemporanei.

Come descriverebbe la vostra offerta?

Il nostro mantra è LifeWear, lifestyle e abbigliamento, una parola che abbiamo coniato noi nel 2013. La proposta è la stessa in tutto il mondo: articoli di abbigliamento che il cliente potrà scegliere, mixare con altri prodotti di lusso o design per creare la sua vita, il suo stile.

Uniqlo è un gruppo enorme: quanto conta l’Europa?

Londra è stata la prima città fuori dal Giappone e stiamo parlando del 2001. Abbiamo aperto prima a Londra che a New York. Poi a NY c’è il flagship sulla 5th avenue aperto nel 2011, lo ricordo bene perché ero appena entrato in azienda e la settimana dopo mi hanno mandato lì. Siamo anche in Belgio, Svezia, Danimarca, Olanda, Russia, Spagna, a Barcellona e il mese prossimo a Madrid. Abbiamo 2.700 negozi in tutto il mondo, l’Italia diventa il 23esimo mercato, il prossimo sarà l’India.

Come funzionerà l’organizzazione in Italia?

Come in ogni mercato abbiamo stabilito l’ufficio italiano, Uniqlo Italy, e, come a Tokyo, l’idea è lavorare in meno persone in ufficio e più in negozio. Se in negozio sono 130, in ufficio ne avremo una decina: ci saranno i ruoli indispensabili, risorse umane, pr, brand, marketing, digital. Abbiamo l’organizzazione Uniqlo Europe, cui faranno capo, e poi Uniqlo a Tokyo.

A chi si farà riferimento in Italia?

La figura più importante anche in Italia sarà il chief operating officer, ma ci piace lavorare a un ritmo abbastanza intenso. Lui si occuperà anche di altri mercati, non sarà dedicato solo all’Italia ma anche alla Spagna e a qualche altro mercato europeo. A livello locale, abbiamo anche il general manager del negozio, che ha una certa autonomia, nel senso che certi negozi hanno più colori di altri, o più prodotti per bambini, queste sono tutte decisioni legate al territorio.

Le campagne pubblicitarie le creiamo a livello globale, ma con un tocco molto locale, in particolare, quando apriamo negozi nei nuovi mercati. In Italia, ad esempio, abbiamo lanciato Today’s classics abbinando i nostri capi ai “local brand masters”, che rappresentano ciò che Uniqlo può raccontare a un italiano e, in particolare, a un milanese: Marco Ambrosino, Alessandra Bisogni, Cristiana Picco, Stefano Seletti, Federico Vavassori, Camilla e Giulia Venturini sono influencer che si muovono in vari mondi, assolutamente contemporanei, come gastronomia, arte, design, innovazione e business. Li abbiamo scelti perché sono persone che hanno qualcosa da raccontare e non sono già viste.

Sviluppi di Uniqlo in Italia?

Io sono sempre ottimista. In genere apriamo un primo negozio e cerchiamo di capire quali sono le esigenze e gli interessi dei clienti locali, poi ci adattiamo, vediamo come possiamo ingrandirci. È chiaro che non ci fermeremo a un negozio.

Quanto è importante per voi l’eCommerce?

Siamo molto bilanciati tra fisico e digitale, vediamo le opportunità per l’uno e per l’altro. L’ideale per noi è che il cliente passi da Uniqlo una volta alla settimana, perché ogni settimana ci sono novità. Sono convinto che per il LifeWear sia importante vedere, toccare il tessuto, provare. Infatti, molti clienti dell’eCommerce conoscono già Uniqlo, conoscono le taglie, sanno già che cosa gli piace e magari scelgono e comprano un colore diverso. A Milano avremo il servizio Click&Collect, con ritiro in negozio, dove ci sarà una postazione cassa dedicata.

Com’è il consumatore italiano visto da Uniqlo?

Qualità prima di tutto, poi cachemire, perché sappiamo che tutti in Italia lo amano, quindi cinquanta colori, che nessun altro negozio ha offerto fino ad ora. Abbiamo prodotti anche nel Merino, con la linea Extra fine Merino, lavabile in lavatrice, molte camicie per uomo e donna che non si devono stirare, la nuova linea Premium Lambswool, molto soffice.

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