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1. Polarizzazione
dei consumi nonché specializzazione
di canale
2. Manca un marchio commerciale unico
che identifichi
la produzione made
in Italy
“In un momento di generalizzata flessione dei consumi, alla quale fa da contraltare una propensione d'acquisto sempre più attenta e differenziata, la contrazione della domanda di cosmetici è meno evidente rispetto alla media nazionale dei beni di consumo”. È con queste parole che Fabio Franchina, presidente di Unipro, ci apre le porte dell'Associazione italiana delle imprese cosmetiche sottolineando quanto la sfera del benessere sia entrata a pieno titolo nella quotidianità di un consumatore sempre più attento al concetto di value for money. Un quadro a tinte forti al quale Unipro ha contribuito raffigurando un ruolo fondamentale per lo sviluppo professionale ed economico del settore nell'elaborazione e nella diffusione di informazioni di carattere normativo, fiscale e commerciale. Ma non solo. I suoi oltre 500 associati (che rappresentano il 90% del fatturato del settore cosmetico) possono contare su una struttura attenta agli aspetti tecnici così come a quelli che riguardano l'intera gestione aziendale. Forte dell'esperienza maturata in qualità di presidente di Framesi, multinazionale italiana specializzata nell'hair beauty professionale, Franchina ci introduce nell'universo del benessere delineando un mercato che incontra le esigenze di un consumatore spinto alle specificità di prodotto e di canale.
Dottor Franchina, la diminuita ricchezza delle famiglie incide sulla propensione all'acquisto. In questo quadro il settore della cosmesi sta dando segnali di tenuta. Qual è la ricetta di questo risultato e come vede il futuro del settore?
La cosmetica, e in generale il settore del benessere cosmetico, risente meno delle contrazioni di consumo. Un risultato confermato anche dalla statistica: una rilevazione condotta da Eurisko sulle prospettive di minor consumo per il 2009 pone il settore ai primi posti nelle opzioni di acquisto degli italiani. In realtà non c'è una ricetta a questo risultato, semplicemente il cosmetico è di fatto il settore che più di altri è entrato nel quotidiano del consumatore. Considerata un bene voluttuario quasi alternativa ad altri consumi tanto da essere distorta nel percepito dei consumatori dal concetto di effimero, oggi la visione di igiene e bellezza gode di significati differenti che assicurano una diversa educazione del consumatore. Mediamente un italiano entra in contatto con il cosmetico almeno 6-7 volte al giorno: si pensi all'atto di lavarsi le mani, i denti, l'uso di creme idratanti esfolianti. Gesti introdotti nell'uso quotidiano di ogni consumatore. Questo non esclude, in ogni caso, una modificazione delle opzioni di acquisto assistendo a una polarizzazione dei consumi nonché a una specializzazione di canale.
Maggiore concentrazione, dunque, verso prodotti di prezzo sostenuto e di alto valore qualitativo, ma anche attenzione a prodotti con un buon rapporto qualità/prezzo inseguiti da un consumatore poco fidelizzato a ciascun canale.
Poca fidelizazione. È questa, dunque, la causa di una situazione disomogenea che registra alti e bassi per canale?
Non sempre ciò che accade è da attribuirsi alle scelte del consumatore. Vi sono dei canali che rispondono meglio alle esigenze del consumatore e canali che soffrono per motivi strutturali e organizzativi. Siamo di fronte a una crisi di identità di certi canali che non hanno saputo modificarsi e adeguarsi al nuovo consumatore. È il caso, per esempio, delle estetiste così come dei saloni acconciatura che hanno segnato una flessione più marcata rispetto ad altri canali.
Ritorniamo alla relazione bellezza e benessere. Perché secondo lei i cosmetici sono entrati nell'uso quotidiano tanto da non rinunciarvi anche in tempi di crisi dei consumi?
In un momento di crisi d'identità e di valori, ci si rifugia nel consumo di beni più vicini alla nostra indole e al nostro intimo. Si tratta del rafforzamento del concetto di “nesting”: il consumatore si costruisce un nido all'interno del quale fa rientrare tutti i consumi della sfera intima quali l'alimentare e il benessere abbandonando ciò che ritiene superfluo nonché costoso.
Parliamo di aziende. Quali sono le carte che le imprese cosmetiche dovranno giocare per superare la contingenza del momento?
Le aziende devono saper cogliere le modifiche del mercato facendo leva sulle proprie specializzazioni e inseguendo sempre più le necessità del consumatore. Una multinazionale investirà probabilmente in prodotti e professionisti che privilegiano un'assistenza al cliente, mentre il canale mass market ottimizzerà concetti che si allontano dal prodotto basico per avvicinarsi a prodotti dalle alte performance e un prezzo conveniente. Tutto accompagnato da azioni di carattere imprenditoriale quali, per esempio, il controllo delle modalità di accesso del credito, le esposizioni bancarie ecc.
Molti settori fanno del made in Italy il loro fiore all'occhiello. Che benefici porta al cosmetico e che ruolo interpreta nell'export?
Il nostro settore non gode dei benefici del made in Italy come altri comparti. Sicuramente deve lavorare per affermare quello che a livello internazionale tanti operatori riconoscono nel concetto di cosmetico made in Italy. Una competitività riconosciuta che però non aiuta a far decollare l'export. Si tratta di un fattore strutturale: manca un marchio commerciale unico con il quale identificare la produzione nostrana. Si avvalora, invece, presso molti addetti la consapevolezza che il prodotto cosmetico italiano vanta forti valenze tra le quali il forte concetto di servizio di qualità. Come associazione abbiamo teorizzato la creazione di un brand portabandiera del settore che potesse coadiuvare iniziative di promozione nella strategia di internazionalizzazione. Ci scontriamo, purtroppo, con una struttura produttiva polverizzata, un tessuto di piccole imprese che non si riconoscono in un unico brand ombrello. Il progetto è sicuramente nelle potenzialità del settore, ma per ora è prematuro.
Un marchio made in Italy potrebbe essere anche lo strumento ideale per opporsi al fenomeno delle imitazioni. Che peso ha la contraffazione nel settore?
Occorre fare luce sul tema della contraffazione. Spesso viene confusa con quella che si verifica essere un'importazione parallela. A livello di imitazioni e di prodotti falsi, nel cosmetico il fenomeno della contraffazione non è evidente come in altri comparti quali l'alimentare o la moda, ma comincia a diffondersi in misura preoccupante. Ci sono infatti dei picchi dove si registra anche il 2% sul valore totale del fatturato di un prodotto contraffatto - soprattutto nei profumi -, ma attualmente il sintomo si rileva nella falsificazione di brand e non di prodotto. È giusto parlare, invece, di prodotto parallelo ovvero quel manufatto fabbricato fuori dal territorio europeo ed entrato nel mercato italiano evadendo le regole d'importazione. Noi per anni abbiamo lavorato con l'Alto commissariato per la lotta alla contraffazione e di recente abbiamo uno stretto contatto con l'Istituto superiore di sanità e con il ministero per supportare le autorità di tutela con una giusta informazione su quelle che sono le caratteristiche per cui un prodotto è importato regolarmente o risponde alle normative di etichettatura e importazione regolare.
Qual è il senso dell'innovazione nell'industria cosmetica?
È il motore che trasforma in vitale il mercato e rende competitive le imprese. In termini di investimento totale il nostro settore raggiunge il valore medio del 6%, una cifra tra le più alte in assoluto assieme a quella dell'industria delle biotecnologie. Ma l'innovazione è anche l'adeguamento costante alla normativa perché, come tutti i prodotti chimici, anche la cosmetica è soggetta a norme rigidissime attente alla sicurezza e alla salute del consumatore. Una rigidità che può creare svantaggi nell'esportazione sui mercati liberi dove si affacciano anche prodotti provenienti da paesi con normative più lasche. È difficile comunicare la qualità, che non sempre può essere percepita, in raffronto a questi prodotti potenzialmente dannosi ma dal prezzo più competitivo.
Rapporto tra etica ed estetica. Il concetto della sostenibilità è un tema cavalcato da molte imprese. Come si pongono gli attori del settore cosmetico nei confronti di questo argomento?
C'è molto rumor attorno a questo tema. Siamo convinti che non tutti i consumatori differenzino i loro acquisti in base alla maggiore o minore ecosostenibilità di un marchio. Per quanto riguarda le imprese cosmetiche non vi è un unico approccio: vi sono aziende che hanno un'attività più orientata all'ecosostenibilità e altre che non lo fanno, investendo però in concetti di qualità sia di prodotto sia di performance. Diciamo che ogni operatore si allinea a concetti di rispetto delle norme e di sicurezza aderendo in un certo senso al principio di sostenibilità.
Allegati
- BEAUTY09_Unipro
- di Anna Bertolini / maggio 2009