Il pericolo insolvenza nel largo consumo

ECONOMIA & ANALISI – Secondo uno studio di Cribis D&B, la Gdo è il comparto più rischioso tra le imprese dei Blc che mediamente versano in condizioni peggiori della media italiana (da MARKUP 219)

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I dati complessivi dell'economia produttiva Italiana non trovano più aggettivi adeguati: secondo Movimprese, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane, nel primo trimestre del 2013 il saldo tra chiusure e aperture delle imprese italiane ha segnato un impressionante -31.351. I settori maggiormente colpiti sono le costruzioni (-1,4%), la manifattura (-0,88%) e il commercio (-0,54%). Queste imprese che finiscono fuori mercato hanno terminato un percorso discendente a tappe forzate che è passato per: calo degli ordini, (derivanti dalla contrazione dei consumi) incremento dei costi dovuti prevalentemente alla fiscalità, insufficiente liquidità e restrizione del credito. Tutto ciò ha portato verso il crinale del rischio insolvenza e il baratro del fallimento che ne segue è sospinto dai ritardi dei pagamenti. L'analisi quantitativa del fenomeno correlato al rischio insolvenza offre un ulteriore punto di vista circa il fenomeno in atto.

Oltre ogni rating

La distribuzione commerciale in tutte le sue forme è in questo momento il fulcro centrale attorno al quale si giocano i destini di migliaia di imprese disseminate lungo le diverse filiere. Nella catena di penalità elencata qualche riga sopra, l'introduzione dell'articolo 62 ha prodotto uno scossone importante che se da un lato può aiutare molti soggetti a non precipitare, dall'altro costringe altri a un (doveroso) sforzo finanziario che può tradursi in un rischio di insolvenza.
Da alcuni anni Cribis D&B realizza un osservatorio su questo parametro economico la cui analisi prospettica offre uno spaccato della crisi da un angolazione un po' diversa ma coerente rispetto agli altri indicatori.

I settori analizzati comprendono una macrocategoria del commercio al dettaglio composta a dicembre del 2012 da 882 mila aziende di cui circa 33 mila ferramenta, materiali da costruzioni e giardinaggio, 187 mila alimentari, 55 mila rivenditori di veicoli e stazioni di servizio, 153 mila abbigliamento e accessori, 105 mila arredamento e articoli per la casa e 349 mila a vario titolo. La macro categoria della grande distribuzione è composta da 9 mila aziende mentre nel commercio all'ingrosso composto le 280 mila aziende si dividono in beni durevoli (160 mila) e beni non durevoli (120 mila). Infine il settore horeca (383 mila aziende) suddiviso in ristoranti e bar (328 mila) e alberghi (55 mila).
I risultati dell'indagine evidenziano una maggiore rischiosità delle imprese appartenenti al comparto dei beni di largo consumo (Blc) rispetto alla media delle imprese italiane. Quantificando con un indice apposito si ottiene il 13,42% contro una media dell'11,26%. Il settore più rischioso nel comparto Blc è la Gd-Do con il 21,68% (+10,42% punti rispetto alla media italiana). Viceversa il commercio al dettaglio con il 9,75% è al di sotto delle media italiana. La massima performance negativa è quella del settore abbigliamento e accessori.

Dentro i numeri
Secondo Michele Colombo, marketing project coordinator di Cribis D&B, il fenomeno in atto è correlato a un progressivo scivolamento verso l'uscita dal mercato da parte delle aziende che non hanno saputo effettuare i necessari investimenti oppure che non hanno la dimensione finanziaria sufficientemente robusta a tenere il mercato. Più in dettaglio si osserva come il commercio all'ingrosso sia uno dei settori più penalizzati soprattutto negli ultimi anni. Il dato ha una lettura articolata secondo Michele Colombo. Si parte dal fatto che il settore ha una relazione con il mercato multipla (i grossisti vendono a più soggetti), soffre le stagionalità, non ha caratteristiche intrinseche che richiedano investimenti in asset. Quest'ultimo aspetto non impone una gestione finanziaria oculata come avviene in presenza di investimenti importanti. Inoltre il commercio all'ingrosso è il penultimo anello della catena distributiva e su di esso impattano le pressioni dell'industria a monte e della distribuzione commerciale a valle. In altre parole i ritardi dei pagamenti derivati dal sell-out non concordano con i tempi del sell-in e questo fenomeno, per essere sostenuto, richiede una posizione finanziaria robusta. Per quanto riguarda la Gdo si assiste a una progressiva uscita dal mercato di alcune aziende della grande distribuzione che hanno una struttura di costo e un'efficienza non più compatibile con un mercato sempre più competitivo e in contrazione. L'introduzione dell'articolo 62 solleva alcune perplessità circa l'opportunità che venga messo in atto in un periodo come l'attuale. Secondo Michele Colombo si tratta di una norma che introdurrà elementi positivi nel medio e lungo termine ma nel breve periodo richiede di essere monitorato e sostenuto nei suoi risvolti per evitare contraccolpi eccessivamente impattanti per tutte quelle imprese non particolarmente solide ma che seriamente vogliono mettere in atto dei regimi gestionali virtuosi volti a guadagnare competitività sul mercato. Un ulteriore indice significativo sul tema è il failure score, la probabilità che un impresa ha di chiudere lasciando una situazione di insoluto. Comparando i diversi comparti e valutando l'andamento nel tempo si osserva un progressivo collassamento verso una zona di maggiore rischiosità. Come se ne esce? Secondo Colombo focalizzandosi sulla solidità finanziaria privilegiando il business profittevole al fatturato globale.■

Allegati

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