Il Real Estate riparte cercando nuovi equilibri. Quali scenari per la Fase 3?

Una recente ricerca di Engel & Völkers Commercial Milano e Rödl & Partner evidenzia come nel Retail e Office le ricadute del Covid sono ancora da valutare

Il giorno 2 luglio 2020 si è tenuto il webinar dal titolo: "Fase 3: la ripartenza del Real Estate. Cosa ci attende?”. Moderata da Roberto Pacifico giornalista di Mark Up, esperto di Real Estate, la tavola rotonda ha fatto emergere importanti considerazioni soprattutto sul fenomeno dello smart working. Hanno partecipato Gianluca Sinisi, Licence Partner, Engel & Völkers Commercial, Valeria Spagnoletti-Zeuli, avvocato, Associate Partner, Gabriella Calchi Novati, Psychoanalyst, Phylosopher and Critical Theorist, Massimiliano Notarbartolo, Co-founder and CEO, Progetto Design and Build.

Uno dei primi temi affrontati è quello dello smart working che impatta notevolmente sulle prospettive del mercato Office e sull’utilizzo degli spazi. Per il 66% del panel studiato dalla ricerca, lo smart working è una modalità di lavoro strutturale, destinata a durare. Come si può interpretare il fenomeno?

Secondo l’architetto Massimiliano Notarbartolo non è possibile fare previsioni sullo smart working se non considerare che è comunque una modalità che può dare importanti risultati. Tuttavia, questa modalità, si applicherà su larga scala solo quando saranno chiari e condivisi i suoi concetti di base e le caratteristiche applicative, anche perché vi sono delle criticità da tenere in considerazione. L’innovazione è comunque il drive principale del business e non bisogna dimenticare che gli uffici sono i luoghi fisici che permettono la condivisione e la creazione e questa dimensione è allontanata dallo smart working. Inoltre, l’economia è interconnessa per cui l’introduzione dello smart working induce anche fenomeni che impattano su altri settori: dal retail alla ristorazione ecc.

Lo smart working è stato imposto al 70% dei lavoratori con ricadute positive e negative. Secondo Gabriella Calchi Novati, la dimensione digitale non ha riportato al centro l’essere umano, anzi ha azzerato tutto il “pubblico” portandolo nel “privato". Occorre dire che il termine “smart working” si usa solo in Italia e ha forse implicazioni ideologiche, necessarie a farlo diventare “cool”. In realtà, per Novati, lo smart working è stato vissuto positivamente solo se le persone hanno potuto permetterselo con ambienti propri adatti, isolati e con le strutture tipiche dell’office.
Inoltre, tra gli asetti negativi dello smart working, si può verificare un crollo della creatività, perché è una modalità di lavro imposta dal lockdown e della separazione sociale. Vi sono delle ripercussioni già misurabili dello smart working che la società sta portando alla luce. Per esempio, il diritto all’essere offline, la ricostruzione dell’empatia, lo spostamento verso il posto di lavoro come vissuto centrale per l’esistenza e la relazione.

Per Gianluca Sinisi, lo smart working può indebolire il concetto di corporale identity vissuto dai dipendenti. Quale senso di appartenenza può maturare in una persona che non è mai presente in azienda? L’impresa ha anche lo scopo di sviluppare e diffondere tra la propria forza lavoro dei valori che, necessariamente deve condividere con le proprie persone. Inoltre le nuove generazioni, introdotte nel lavoro, come possono imparare e crescere se non hanno contatto con altri? Domande degne di riflessioni approfondite perché il rapporto umano, per Sinisi, è fondamentale.

Un altro tema importante è il ripensamento degli spazi di lavoro che da sempre sono progettati per ospitare molte più persone di quanto le misure di sicurezza oggi impongono. Per l’architetto Notarbartolo in questo momento si sta ragionando ma agendo anche istintivamente. Occorre aspettare che le dinamiche evolutive si assestino in uno scenario più consolidato. Tuttavia la progettazione è cambiata anche perché ormai vi è consapevolezza che non è necessario controllare visivamente il lavoro delle persone e farle obbligatoriamente spostare per raggiungere il posto di lavoro.

Venendo a temi eminentemente economici, dall’ultima ricerca di E&V emerge che l’office è una ambito che ha richiesto in misura minore la rimodulazione degli affitti rispetto al retail. Quale fenomeno sta alle spalle di queste differenze?

Per Sinisi è troppo presto per tirare le somme. È tutto in movimento e le reali conseguenze non le abbiamo ancora viste.

Per Valeria Spagnoletti la tendenza nel passare da canoni fissi a variabili sta emergendo prepotentemente. Per ora siamo ancora in una bolla dove misure come la cassa integrazione, il divieto di licenziamento ecc, hanno la preminenza su qualsiasi altro fenomeno economico. Tuttavia emerge una disponibilità nel rinegoziare i canoni di affito e nel futuro si legherà una parte del canone a un fattore variabile. In Italia è però una prassi che si attua nei centri commerciali, al di fuori degli stessi occorre valutare la reale possibilità caso per caso.

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