Il retail 5.0 e le sfide per la gestione delle risorse umane

Al retail specializzato, servono nuovi fattori abilitanti per attirare talenti (Da Mark Up n. 310)

La rapida evoluzione dello scenario socio-economico rende necessaria la transizione verso un nuovo modello di società, più inclusivo e sostenibile: è la Società 5.0, che pone al centro il benessere dell’individuo, declinato in tutte le sue dimensioni.
Oggi più che mai, il retail specializzato può diventare uno dei fattori abilitanti di questo modello, visto il ruolo chiave che svolge per il Paese: con un valore aggiunto di 90,7 miliardi di euro, la filiera estesa del retail specializzato genera un valore di 4,3 volte superiore a quello dell’industria tessile e dell’abbigliamento e 6,7 volte quello della fabbricazione di mobili. In questo scenario, il retail specializzato si trova anche ad affrontare molte sfide. Una delle più disruptive riguarda la gestione delle risorse umane, soprattutto la capacità di attrarre e trattenere i talenti, a fronte del rapido adeguamento richiesto dalla riapertura e dalla ripresa dei consumi. Da un lato, infatti, le imprese italiane operano in un mercato del lavoro con tempi di transizione scuola-lavoro elevati e alti livelli di disoccupazione giovanile (quasi 30% tra i 15 i 24 anni); dall’altro, le difficoltà dei giovani nel passare dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro si sono amplificate per la pandemia con ripercussioni importanti sulle dimensioni del disagio giovanile, dell’insicurezza e della salute mentale.

Nel 2021, per il settimo anno consecutivo, l’Italia si è confermata il 1° Paese Ue per numero di Neet, quei giovani fuori da percorsi di studio, lavoro o formazione: parliamo del 23,1% della popolazione tra i 15 e i 29 anni, 10 punti in più della media dell’Ue. Nella fascia di età 14-35, i Neet possono essere stimati in circa 3 milioni, con uno sbilanciamento a danno delle donne (1,7 milioni). Il fenomeno è alimentato anche all’esistenza di un mismatch strutturale tra le competenze richieste dalle aziende e quelle dei giovani: nonostante gli istituti tecnici superiori garantiscano un tasso di occupazione dell’83% entro 12 mesi, gli iscritti in Italia sono inferiori alle 20 mila unità. Anche il numero di laureati in materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) è pari a 16,4% per 1.000 abitanti tra 20-29 anni, sotto la media Ue (20,8%).

L’adeguamento delle competenze si configura come una delle problematiche più attuali nel mercato del lavoro: nel prossimo futuro si stima che il 65% dei ragazzi di oggi svolgerà mansioni che ancora non esistono. A queste criticità, si aggiunge la necessità di rispondere alle mutate esigenze dei lavoratori, la cui insoddisfazione trova diretta manifestazione nel fenomeno della Great Resignation, quel crescente numero di persone che ha deciso di lasciare volontariamente il proprio posto di lavoro. Molteplici le ragioni alla base di questa decisione: la ricerca di un maggior bilanciamento del lavoro rispetto ad altre priorità (famiglia, riposo, qualità della vita, ecc.), la spinta all’autorealizzazione, l’attenzione alla crescita personale e sociale, la mancata condivisione dei valori aziendali, ma anche l’impatto che il lavoro a distanza ha avuto sulla condivisione della cultura aziendale e sulle dinamiche di squadra. Per l’Aidp Associazione Italiana Direzione Personale, il 60% delle aziende ha ricevuto dimissioni volontarie da parte di giovani, che hanno coinvolto soprattutto le aree Informatica e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing & Commerciale (27%). Secondo il Randstad Workmonitor, l’Italia si posiziona terza al mondo per la percentuale di lavoratori in cerca di nuovo impiego (29%), un’incidenza che sale al 38% per i 25- 34enni. Numeri che dipendono anche delle condizioni lavorative: gli italiani sono penultimi al mondo tra chi ha ricevuto un aumento di stipendio nell’ultimo anno (19%), ultimi per distribuzione di benefit (53%) e tra i meno avvantaggiati in termini di flessibilità (il 62% non può scegliere quante ore al giorno lavorare, il 60% non può scegliere dove e il 50% quando).

La capacità di attrazione del retail specializzato

Una riflessione a sé merita la filiera del retail specializzato che, per l’Osservatorio Retail 5.0, risulta uno dei settori a maggior occupazione, con 2,4 milioni di occupati, di cui il 60% donne (+11,5% rispetto alla media nazionale) e il 20% giovani (+37% rispetto alla media). In seguito alla pandemia, il retail specializzato è stato tra i più impattati in termini occupazionali (-3,7%) e sta oggi faticando ad attrarre personale per sostenere la ripartenza, con difficoltà specie in fine settimana e festività. Probabile che parte del problema dipenda dal vincolo della presenza fisica di alcune posizioni, difficili da accomodare con la flessibilità richiesta dal nuovo paradigma. In questo scenario, abbracciare la filosofia 5.0, ponendo al centro l’individuo, anche nella sua veste di lavoratore, è strategico per ripensare in maniera efficace la propria Employee Value Proposition, ossia la proposizione di valore dell’azienda verso i collaboratori, cuore pulsante delle strategie di attrazione e retention. La sfida è trovare un approccio culturale, modalità di lavoro, collaborazione e interazione con l’azienda bilanciate rispetto al benessere, all’attitudine e agli interessi dei dipendenti, senza dimenticare la valorizzazione delle diversità, per porre ogni individuo nella condizione di esprimere al meglio le proprie potenzialità e imparare in ottica costruttiva. È anche fondamentale tenere presenti i valori e le istanze delle nuove generazioni: nel 2025, Millennials e Generazione Z costituiranno il 75% degli occupati globali, le due fasce di età più rappresentative della Great Resignation e del cambio valoriale in corso, destinati a plasmare i rapporti di lavoro del futuro.

(*) Benedetta Brioschi, responsabile scenario food&retail&sustainability The European House - Ambrosetti

(**) Alessandro Braga, senior consultant, people & talent management, The European House - Ambrosetti

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