Il retail non è un bancomat

L'INTERVISTA – Rapporti con la piccola e la grande industria e la crisi dei consumi nel colloquio con il presidente di Coop Italia, Vincenzo Tassinari (da MARKUP 207)

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Diecimila imprese agricole e tremila produttori di alimentare confezionato e non-food: sono gli impressionanti numeri dei fornitori del sistema distributivo Coop. Appartengono per la grande maggioranza al mondo delle imprese piccole, il più colpito dalle difficoltà economiche e dalla stretta creditizia. Su questo, ma non solo, Mark Up ha incontrato il presidente di Coop Italia, Vincenzo Tassinari.

     
  Chi è Vincenzo Tassinari  
  Nato nel 1949, è sposato con due figli. È laureato in Economia e Commercio all'Università di Bologna; nel 1975 è capo servizio amministrativo della CAMST di Bologna. Nel 1979 è direttore amministrativo e finanziario del Consorzio Interregionale Cooperative di Consumo; nel 1983 viene eletto Presidente dello stesso Consorzio. Nel 1988 viene eletto Presidente di Coop Italia (la Centrale delle Cooperative di Consumatori italiane), carica che ricopre tuttora. Nel 1991 è eletto Vice Presidente dell'INTERCOOP di Copenhagen (Centrale delle Cooperative Europee). Dal 1996 al 2000 è stato Presidente di ECR-Italia. È membro del Board di ECR-Europe a Bruxelles. È vice presidente di Indicod-ECR e Co-chair di ECR Italia. Dal 2004 è incaricato della Cattedra di Economia e Gestione delle Imprese Commerciali nella Facoltà di Economia di Milano-Bicocca.
Dal 2005 è Presidente di Centrale Italiana.
 
     

Le imprese lamentano un drammatico restringimento del credito: che riflessi ha sul largo consumo?
Siamo ben consapevoli dell'importanza della questione. Richieste sempre più pressanti di intervento nei tempi di pagamento, ma anche un aumento del 30% della fattorizzazione sono indici preoccupanti soprattutto per il mondo delle piccole e medie imprese. Paradossalmente la recente iniezione di liquidità della Bce al mondo bancario, che doveva a sua volta sostenere le imprese, non ha prodotto gli effetti positivi voluti. Abbiamo imprese che addirittura lamentano il rifiuto di affidamenti bancari per la sola copertura dell'aumento indiscutibile delle materie prime. Quella del credito è una questione molto seria e accentua le difficoltà del mondo delle imprese, ma è solo una parte.

E il resto?
Due parole chiave: domanda e offerta. Siamo in una fase di recessione con pesanti ripercussioni sui consumi delle famiglie italiane. È vero che questo è dovuto al calo del potere d'acquisto delle famiglie, ma non dimeno incide una persistente sfiducia nella prospettiva. Questo mix di "tasca e testa del consumatore" produce un crollo preoccupante dei consumi nei mercati di sostituzione, soprattutto sui settori non alimentari; ma anche un fenomeno di trading down del carrello alimentare. Calo dei consumi da un lato e produzione dall'altro che in molti casi risulta in eccedenza, stanno creando uno squilibrio strutturale fra domanda e offerta molto preoccupante. E questo a mio parere non si sta affrontando con la dovuta profondità: per ristabilire un nuovo punto di equilibrio, la leva finanza può non essere efficace quanto invece quella della ripresa e del rilancio dei consumi delle famiglie italiane; vero motore per la ripresa della produzione, degli investimenti e dell'occupazione.

Restando ai tempi di pagamento. Qual è la situazione nel largo consumo e quale politica adotta Coop? Siete molto critici sulle regole dell'art. 62 della legge 1/2012…
È vero, ma abbiamo anche delle buone ragioni. Anzitutto credo sia inaccettabile che una parte contraente rispetto all'altra si trovi, senza alcun coinvolgimento, con un dispositivo di legge che incide gravemente sull'equilibrio finanziario delle imprese distributive, così, da un giorno all'altro. Checché se ne dica l'impatto sull'intera distribuzione organizzata è di oltre 6 miliardi di liquidità e molte imprese distributive dovranno sopperire con il ricorso al credito bancario. Se la questione era quella di tutelare il mondo dell'agricoltura e delle piccole e medie imprese noi saremmo stati d'accordo, così come lo eravamo nella possibile autoregolamentazione elaborata congiuntamente con Federalimentare poi, alla firma, a sorpresa da loro non sottoscritta. Ma qualcuno dovrà spiegare alle imprese distributive italiane perché debbono fare ricorso al credito per finanziare Nestlé, Kraft, Unilever, Coca-Cola ecc… Da nostre analisi fatte sui loro bilanci continuano a guadagnare bene e avere un miglioramento del loro indice di liquidità; buon per loro…

Quindi la pensate come Federdistribuzione, con cui certo non avete un passato fatto di amore e di accordo?
Il passato non si dimentica e la nostra distintività di interpretare il mercato e i consumatori non è cambiata, anzi, con la crisi si è rafforzata. Ma nondimeno su queste problematiche più complessive che afferiscono il ruolo della distribuzione moderna in Italia occorre essere compatti, per reggere le sfide, ma anche le grandi ostilità nei confronti di un settore dell'economia italiana, che dovrebbe invece essere valorizzato per il suo potenziale per la ripresa dell'economia del nostro Paese. Quello che mi ha più colpito è il significato più politico che è sotteso nella scrittura dell'art. 62.

E cioè?
Che la distribuzione moderna sia un soggetto prevaricatore che strangola il mondo della produzione e dell'industria alla quale occorre mettere i mordacci. È una rappresentazione financo caricaturale che non rende giustizia della realtà.
n E quale sarebbe allora?
Noi siamo i più grandi venditori dei prodotti dell'industria e dell'agricoltura italiana e noi Coop, sicuramente, siamo fra i più trasparenti e corretti non solo nei pagamenti, ma anche nelle relazioni commerciali fino a definire partnership di coimprenditorialità con i nostri fornitori.
Ora che tutto questo si riduca in un articolo di una legge che si definisce delle liberalizzazioni e che, invece, ingessa il rapporto con contratti che dovrebbero regolamentare una volta per tutto l'anno quantità e prestazioni prefissate, francamente non lo condivido. E spero che, fino all'ultimo, vengano apportati alcuni cambiamenti sostanziali a questo dispositivo che ingabbiando tutto sarà dannoso anche per le stesse aziende di produzione.

Un tempo le grandi catene commerciali erano considerate una macchina da guerra per raccogliere liquidità, al punto che i grandi nomi del capitalismo italiano (Agnelli e Berlusconi, Benetton per farne qualcuno) vi avevano pesantemente investito, quasi per creare dei bancomat per le loro holding. Questo fenomeno potrebbe tornare d'attualità?
Quanto al bancomat, in una realtà distributiva come Coop, che ha a cuore l'efficienza commerciale e il "full replenishment" dei punti di vendita, la leva "circolante" è ridotta ai minimi termini.
Per il resto, se qualche soggetto importante dell'imprenditoria italiana volesse investire nel retail, mi verrebbe da rispondere magari. Avremmo più peso politico e più possibilità di ascolto. La distribuzione italiana è frammentata e piccola se confrontata con altre realtà europee e non ha una forza di impatto adeguata. E dove la distribuzione è più forte e sono più forti la stessa industria e la stessa agricoltura di quel Paese, è alla fine il cittadino a beneficiarne in termini di più servizi e prezzi più bassi.

Come si è creata questa situazione in Italia?
Dopo gli anni della cosiddetta "golden age" l'Italia è cresciuta meno degli altri Paesi occidentali soprattutto a causa di mancata innovazione e produttività nel settore dei servizi in esso compreso quello della modernizzazione della rete distributiva.
Mitterrand amava citare che la distribuzione moderna francese era la portaerei dell'economia nazionale; in Italia la modernizzazione della rete distributiva è rimasta bloccata per almeno due decenni. Le grandi famiglie del capitalismo italiano si sono inserite nel settore con la logica del raider, sono entrate quando le premesse erano brillanti, hanno ricavato il massimo e alla fine - queste vicende le ho vissute tutte - hanno abbandonato la partita al momento giusto, almeno dal loro punto di vista, vendendo agli stranieri. E oggi si punta il dito su quelli che sono rimasti…..

Pensate all'implementazione di nuovi servizi anche finanziari all'interno dei vostri pdv?
Certo, quella dei servizi è una leva strategica di fondamentale importanza per un ruolo virtuoso e moderno del retail. Sottolineo che i distributori più evoluti in Europa sviluppano il 70% di fatturato nel core business, ma ormai quello dei servizi è al 30%. Ciò porta vantaggi al distributore, ma è indubbio che con alcuni esempi di best practice in Europa nei settori dei carburanti, dei farmaci, il primo a essere soddisfatto è il consumatore. Per i servizi finanziari vale lo stesso concetto, aggiungendo che Coop ha una lunga e positiva tradizione del prestito da Soci.

I primi provvedimenti del Governo Monti: concordate sul fatto che il Salva Italia avrà un effetto recessivo?
Nessuno discute che vi fosse l'assoluta necessità di mettere in sicurezza i conti pubblici . Purtroppo le conseguenze per le famiglie italiane saranno molto pesanti. Secondo le nostre stime il combinato tra i decreti Berlusconi-Tremonti con quelli del governo Monti porterà a un aggravio medio per famiglia pari a 2.700 euro, il 7% del reddito. A questo bisogna aggiungere il fatto, che viene colpevolmente taciuto, di una inflazione galoppante, dovuta a rincari di materie prime e costi energetici, sull'ordine del 5-6%. In aggiunta a tutto ciò, non posso tacere il previsto aumento a settembre dell'Iva dal 10 al 12% e dal 21 al 23%. Insomma si sta prefigurando uno scenario di "tempesta perfetta" sui consumi: l'esatto contrario, come dicevo, di quello che servirebbe per il rilancio dell'economia del nostro Paese.

La ricetta?
Rimboccarsi le maniche, tutti. Prendere atto che l'epoca del consumismo è finita. Si prospetta un ciclo di diversi anni orientati a sobrietà ed eliminazione degli sprechi. Ognuno deve fare la sua parte, le singole imprese, ma anche il sistema Paese. Non c'è dubbio per esempio che la nostra filiera agro-alimentare sconta costi che ci rendono meno efficienti e competitivi rispetto ad altri Paesi più evoluti. Nel contingente, anche la grande industria che ha continuato ad avere buoni utili deve contribuire al contenimento di prezzi così come la distribuzione moderna ha fatto in questi ultimi anni. Prova ne sia il contenimento dei prezzi: inflazione Istat 2004-2011 al 17,6%, e, a parità di paniere, distribuzione moderna 7,6%. Il 2012 è molto duro e sarà difficile fare qualcosa "dalla parte dei consumatori"; ma non vi è dubbio che se il sistema delle imprese lo facesse, avremmo più titolo a rivendicare dal Governo la non applicazione degli aumenti dell'Iva (iniqui e recessivi)e politiche più incisive di rilancio dei consumi.
n L'ipermercato funzionava meglio quando l'inflazione era alta; proprio per questo pensate di puntare ancora su questo format che pare avere il fiato corto, in una logica di convenienza di prezzo e di concorrenza con il discount o darete più spazio a format più compatti?
Gli ipermercati hanno avuto grandi risultati non quando era alta l'inflazione ma nel ciclo "dell'economia dell'abbondanza", che va dagli anni Ottanta fino ai primi anni del 2000. Ora siamo entrati nel ciclo che qualche economista definisce "della scarsità" e non v'è dubbio che in un ciclo di consumi calanti, come detto soprattutto nel non alimentare, l'ipermercato è oggi il "format" più in difficoltà, in Italia ma anche in Europa. A mio parere continua a essere la punta di diamante di un sistema distributivo moderno di un Paese. Certo occorre reinventarlo, rimodellare l'offerta rispetto alle nuove esigenze dei consumatori, ma anche rispetto alle nuove modalità di consumo come la digitalizzazione, sempre più in evoluzione, con ormai 10 milioni di internauti anche in Italia. Per noi si apre una nuova fase di sfida, dove strategica sarà la capacità di sviluppare ancora di più la distintività di Coop. Abbiamo 157 anni di storia e siamo stati sempre capaci di adeguare i nostri modelli commerciali e di impresa rispetto alla evoluzione dei cicli economici. E intendiamo farlo anche per il futuro.

Decreto liberalizzazioni: lo ritenete troppo timido?
Indubbiamente questo Governo è composto da economisti di valore che sanno bene quanto la distribuzione organizzata può fare per la modernizzazione del Paese. Le intenzioni originarie erano buone, poi l'Esecutivo è stato letteralmente strattonato dalla logica dei voti parlamentari schierati a difesa di interessi particolari. Al momento il risultato complessivo non è esaltante. E se mi permette una battuta, in qualche caso come quello dei farmaci, è come se avendo in squadra Ibrahimovic lo si lasciasse in panchina…

Domanda finale d'obbligo: cosa rispondete al Conad che sostiene di sorpassarvi entro tre anni?
La competizione è sacrosanta come il diritto ad avere ambizioni. Secondo me Conad ha un modo un po' disinvolto di presentare i numeri. Noi abbiamo calcolato che ai tassi di sviluppo attuali ci sorpasserebbe non tra tre anni, ma nel 2025 e a patto che noi restiamo fermi. Cosa che non abbiamo nessuna intenzione di fare.

Diciamo che c'è dialettica tra imprese. A questo proposito, tanto per non personalizzare, lei preferirebbe una cena con Pugliese o con Caprotti?
Beh, non c'è confronto. Il dottor Caprotti è un eccellente imprenditore, ma con noi è andato oltre una corretta competizione con una campagna di denigrazione che ha superato la soglia della correttezza. Francesco è un ottimo manager, qualche volta traborda un po', ma appartiene alla famiglia della cooperazione e in una cena con lui gli trasmetterei, dalla mia seniority, un po' di saggezza cooperativa.

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207_IntervistaTassinari

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