Il ruolo del retail nella diffusione del vaccino negli USA

Studio previsionale di Iri su quelle che potrebbero essere le chiavi di lettura nella segmentazione degli interventi a supporto

Si fa in fretta a dire vaccino. Per quanto la pandemia abbia avuto una forte incidenza sulla vita economica, sociale e privata di tutti i cittadini, l'apertura del periodo delle vaccinazioni anti-Covid non fa registrare reazioni omogenee a livello della popolazione. È quanto sottolinea, fra gli altri, anche una recente ricerca condotta da Iri, sul mercato americano. Dai dati raccolti emerge in tutta evidenza una forte stratificazione psicologica e culturale presso i cittadini statunitensi che porta a risposte di fiducia e predisposizione ad essere vaccinati marcatamente difformi.

Una su tutte, a mo' di esempio, riguarda il duplice atteggiamento verso il farmaco anti-Covid da parte di persone che hanno avuto modo -quest'anno o in passato- di ricorrere al vaccino anti-influenzale rispetto a chi, per contro, ha scelto di farne a meno.

Nello specifico Iri raccoglie un dato di chiusura/rifiuto del 35% fra i primi, mentre la stessa tipologia di risposta sale all'80% fra i secondi. Ma analoghe discrepanze si registrano per fasce d'età, genere, studi, reddito, aree di residenza, etnia, situazione economica generale, situazione economica emergenziale e così via. Nel riallacciare tale quadro di massima frammentazione alle consuete logiche di mercato nel largo consumo, il terreno di riferimento di Iri, i ricercatori sottolineano un doppio aspetto rilevante.

Il primo è legato a logiche di mobilità: impostando i modelli previsionali secondo due momenti semestrali (target1: vaccino sufficientemente diffuso a giugno 2021 vs target2: vaccino sufficientemente diffuso solo a dicembre 2021), si evidenzia come una rapida diffusione del vaccino consenta un recupero anticipato di almeno un semestre di quelle che erano le abitudini sociali pre-pandemia. Un vantaggio indiscutibile per tutte le attività economiche legate al fuoricasa. Mentre una diffusione lenta del vaccino, accanto al semestre ritardato nell'ottenimento del risultato, porterebbe in dote anche una secca perdita del 5% circa rispetto ai livelli precedenti l'emergenza, a causa di un fenomeno di persistenza di nuove abitudini legate alla prudenza, attecchite per un numero di mesi superiore.

Il secondo aspetto rilevante è che invece tempistiche differenti di diffusione del vaccino avrebbero impatti meno evidenti sui tempi di recupero dei consumi o sugli andamenti dei prezzi.

La considerazione generale dei ricercatori è che il mondo del retail generalista abbia l'opportunità di inserirsi da protagonista nella campagna di affermazione del vaccino. Da un lato favorendone la diffusione (e la democratizzazione), abbattendo i tempi di recovery di una nuova normalità; dall'altro sfruttando a proprio vantaggio flussi di traffico aggiuntivi nei punti di vendita, creando condizioni di fidelizzazione attraverso le procedure di richiamo e segmentando opzioni di comunicazione specifiche secondo calendari psicologici abbastanza chiari: partendo dagli early adopter, per proseguire con anziani, uomini, pensionati, lavoratori e poi, viavia, rivolgendosi alle aree di resistenza maggiore: contado, periferie, classi meno abbienti. Il mondo dei fornitori, invece, certamente meno in in prima linea rispetto ai retailer, può sfruttare il momento con campagne di comunicazione mirate a sostegno delle motivazioni pro-vaccino.

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