Il vero italiano è Made in Italy o Italian made?

Per imprenditori che puntano sulla filiera 100% italiana i due modelli sono inconciliabili. Per chi trasforma materie prime importate i due sistemi si integrano nel mercato globale. Da Mark Up n.244

Quando un prodotto agroalimentare può essere definito Made in Italy? Lo è solo se viene realizzato interamente in Italia o lo è anche se impiega materie prime estere? Oppure gli alimenti derivati da una catena di fornitura non 100% italiana rientrano nella tipologia dei prodotti Italian Made? Non si tratta di una mera questione lessicale, naturalmente, ma di un diverso modo di approcciarsi al mercato e ai consumatori, nonché di intendere la valorizzazione del territorio e delle competenze italiani. pettiLa problematica è centrale per tutta la filiera dell’agroalimentare, ed è di quelle che scaldano gli animi dei soggetti interessati. Da un lato, cioè, gli imprenditori dell’agroalimentare nazionale, che hanno scelto di incentrare la propria produzione solo ed esclusivamente sulle risorse del nostro territorio, insistono sull’importanza della tracciabilità degli alimenti, che si traduce in un’indicazione chiara sull’etichetta della qualifica di prodotto Made in Italy. Come, del resto, chiede oltre il 90% dei nostri connazionali, disposto a spendere qualcosa di più se l’alimento è in tutto e per tutto italiano (fonte: Ministero delle politiche agricole). Dall’altro lato ci sono invece i player dell’industria nostrana che hanno deciso di esportare il saper fare italiano, che rivendicano l’italianità al 100% della propria produzione.

È la distintività del Made in Italy ad aiutare la filiera. Coldiretti, che investe da anni nella valorizzazione delle tipicità nazionali, ci tiene a che i due termini (Made in Italy e Italian Made) siano ben distinti. In merito puntualizza Roberto Moncalvo, presidente della confederazione: “Mescolare le definizioni spesso è solo un modo, per l’industria, per utilizzare ciò che c’è di buono dell’Italia (il gradimento legato al cibo italiano) con ciò che invece c’è di buono negli altri Paesi, come regole meno rigide in tema di sostenibilità ambientale o di rispetto dei lavoratori”.

coralisLa distintività di una produzione completamente italiana è ovviamente una carta importante da giocare sul mercato nazionale, come su quello internazionale. In particolare, per Coldiretti, evidenziare sull’etichetta tale distintività è anche il solo mezzo per poter vendere i propri prodotti a prezzi mediamente più alti rispetto alla concorrenza, nell’ottica di redistribuire poi quel valore lungo tutta la filiera. Perché è un fatto che molte filiere dell’agroalimentare, nel corso degli anni, non siano sopravvissute: “L’industria, in una logica di contenimento dei costi -continua Moncalvo- spesso ha preferito o importare le materie prime o delocalizzare la produzione”.

Non è però solo una questione di costi, bisogna ricordare infatti che se diverse filiere in Italia non ce l’hanno fatta è perché ci sono anche ragioni legate alla natura del nostro territorio, con aree disagiate in cui diventa difficile coltivare. “L’Italia -puntualizza Roberto Brazzale, presidente di Gruppo Brazzale- ha circa 4,7 abitanti per ettaro di superficie agricola utile, contro i 2,9 dell’unione europea. Stiamo parlando di 13 milioni di ettari coltivabili sui 30 milioni complessivi dell’Italia”. L’area agricola utilizzabile, cioè, è scesa dall’88% all’attuale 45%. Se manca la terra, è evidente che vengano a mancare anche le materie prime, che bisogna, giocaforza, andare a prendere all’estero (come ha fatto Brazzale, appunto).
Il presidente dell’azienda vicentina invita l’industria italiana anche a non limitarsi all’import, ma piuttosto ad avere un ruolo da protagonista nella gestione di questi flussi commerciali, riappropriandosi dei processi produttivi, ovvero portando sui mercati esteri il proprio know how: “Bisogna smetterla di vedere il lavoro italiano all’estero come qualcosa di opposto allo sviluppo del business nazionale -conclude il manager-. L’Italian Made, al contrario, aiuta il Made in Italy trovando nuovi canali di sbocco sui mercati stranieri”.

1 COMMENTO

  1. Made in Italy or Italian made = Italian confusion
    A mio avviso il 99,9 % dei consumatori non sa la differenza – lo 0,1% rappresenta il 10% dei produttori di prodotti Made in Italy o Italian made che sa la differenza ( % che si abbassa ulteriormente se si volesse considerare la normativa italiana e quella dei Paesi CEE e extra CEE ) .
    Di qui la necessità di una campagna informativa ma sopra tutto di giornalisti che chiariscano bene i termini del problema prima di porre delle domande e di lasciare al lettore la ricerca della soluzione che potrebbe sembrare implicita nel contesto dell’articolo .

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