Il viral marketing necessita di una progettualità rigorosa

Esperti – Alcuni dati di Millward Brown su un fenomeno controverso. (Da MARK UP 191)

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1.
Uno studio limita al 15% il successo delle campagne di vm

2. La “virulenza”
non è proporzionale all'influenza indotta

3. Il social network è un motore di propagazione

Parlare di viral marketing è come parlare di calcio: vale tutto e il contrario di tutto. E proprio come quando si discute tra tifosi non ci sono mezze misure: si sta dentro o fuori, si sostiene una squadra o un'altra, e non ci si arrende mai, nemmeno di fronte all'evidenza dei risultati.
Di viral marketing si dibatte molto, c'è chi lo ama, chi ne diffida, chi vorrebbe provarlo ma ne ha paura. Proviamo a fare un po' di chiarezza, e guardiamo i dati.
Da uno studio dell'agenzia Mill­ward Brown, che da più di 35 anni si occupa di comunicazione e advertising per importanti brand internazionali, solo una campagna su sei diventa effettivamente virale. Questo significa che non sempre alle intenzioni fanno seguito i risultati sperati. Dopo aver analizzato 102 campagne l'agenzia ha scoperto che le probabilità di successo di una campagna virale sono piuttosto basse, con una percentuale che si attesta attorno al 15%. Ma facciamo un passo indietro. Alla base del marketing virale c'è un concetto semplice, e che tutti conosciamo: il passaparola. La differenza sta nel fatto che la trasmissione del messaggio promozionale - da pochi a molti - è il frutto di una strategia che punta ad aumentare la riconoscibilità di un brand o le vendite di un prodotto.
Una nota a margine: il termine nasce nella metà degli anni '90 e, come un virus appunto, si propaga fino al diventare nel 1998 “marketing buzz-word of the year”. La prima campagna virale della storia è quella della diffusione del concetto di marketing virale stesso.
Torniamo ai dati proposti da Millward Brown, abbiamo detto che solo una campagna su sei diventa effettivamente virale ma la viralizzazione è di per sé una garanzia di successo? La risposta è no. Come avviene con alcuni spot televisivi popolarità non è sinonimo di efficacia del messaggio, e allo stesso modo campagne virali che raggiungono un pubblico esteso non è detto che offrano un contenuto direttamente riconducibile a un brand. Detto in altre parole: il mio video può anche essere il più cliccato su YouTube o il più condiviso su Facebook, ma non esiste nessuna equazione che lega il potenziale virale del mio messaggio alla capacità che ho di influenzare le scelte di acquisto dei consumatori.

Un test “virale”
Proprio per questo, dopo aver analizzato le 102 campagne Millward Brown ha messo a punto il Creative Viral Protection (Cvp), un test da utilizzare per prevedere il potenziale virale di un'iniziativa.
Per fare una campagna efficace bisogna prendere in considerazione quattro caratteristiche fondamentali: awareness, buzz, celebrity e distinctiveness.
Una volta definita la creatività provate a verificarla sulla base di queste voci, assegnando un punteggio a ognuna. Se volete un esempio recuperate “The man your man should smell like”, spot del deodorante “Old spice”.
Dal suo lancio durante il Superbowl al mese di marzo ha totalizzato più di 4 milioni di visite su YouTube, verificatene l'efficacia.
Ora proviamo ad andare a sintesi: conviene o no fare un virale? Non fatelo se pensate che vi renderà più cool, perché l'ha fatto un competitor, o perché sono mesi che la vostra agenzia ve lo propone.
Se, invece, ne siete convinti ricordatevi di essere realistici, solo poche campagne hanno davvero successo, e il successo non è una questione di numeri. Puntate sulla creatività, il vostro messaggio deve essere distintivo e coinvolgente; quello che dite deve essere subito associabile al vostro brand, non basta che sia ammiccante o divertente.
Realizzate strategie diverse per media e target differenti.
Rendete il vostro contenuto facile da trovare, ingaggiate un testimonial solo se è in linea con i vostri valori di marca e diffondete in maniera mirata, puntate su chi ha davvero senso che riceva il vostro messaggio.  E ricordate: il campionato non è detto che lo vinca chi segna più goal, alla fine sono sempre i punti che contano.

*Bocconi e Politecnico di Milano


Allegati

191-MKUP-DiBari
di Vito Di Bari / giugno 2010

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