Immigrati e imprese risorsa del Paese

ECONOMIA & ANALISI – Negli ultimi quattro anni in Italia sono fallite più di 45.000 società e solo nel 2012 hanno chiuso i battenti oltre 100.000 aziende. Crescono, viceversa, le ditte con titolari extra comunitari che tengono in saldo positivo la bilancia chiusure/aperture (da MARKUP 217)

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èassodato che il declino dell'economia italiana degli ultimi anni, ha una connotazione strutturale. I dati rilasciati da varie fonti evidenziano numeri molto preoccupanti: solo nel 2012 sono state aperte oltre 12.000 procedure fallimentari e più di 90.000 imprese sono state liquidate (Fonte Cerved Group).
Le politiche economiche degli ultimi mesi volte al risanamento dei conti pubblici hanno sostanzialmente agito su pure leve ragionieristiche, privilegiando i risultati contabili rispetto agli asset reali. Rimane sospesa la domanda: la mission imposta del salvataggio del Paese dal rischio default, non doveva essere subordinata al mantenimento del tessuto produttivo italiano? In altre parole, prima le imprese oppure i conti?
Sta di fatto che oggi il Paese si trova in condizioni molto gravi per perdita di competitività e, soprattutto, povero di risorse per riguadagnarla. Secondo un recente studio di Cerved Group emerge che i fallimenti d'impresa nel 2012 hanno superato del 64% l'analogo valore riscontrato nel 2008, ultimo anno prima della crisi, raggiungendo quota 45.000. Di questi 21.000 sono imprese del terziario, oltre 10.000 del settore edile, e circa 9.000 nel mondo industriale. Osservando i dati con maggiore attenzione si scopre come la curva di mortalità aziendale in Italia sia diventata improvvisamente molto ripida. Da un ultimo studio di Cerved Group emerge che la manifattura è il settore che più ha sofferto ma, soprattutto, che ha registrato oltre il 5% di fallimenti da parte di aziende che avevano un bilancio valido rispetto al periodo di riferimento precedente. Un altro dato su cui riflettere è il numero di liquidazioni. 43.000 aziende hanno avviato procedure di liquidazione volontaria e 90 mila hanno definitivamente cessato l'attività nel 2012. Il fenomeno è trasversale ed è indicativo di un calo di competitività generale dell'intero sistema che spinge le compagini societarie a ritenere non più profittevole intraprendere.

Le imprese straniere
Gli immigrati resistono meglio alla crisi degli imprenditori italiani. Un recente studio della Confesercenti rivela come nel 2012 le imprese individuali con titolare extracomunitario siano cresciute di 13.000 unità mentre le altre siano diminuite di ben 24.500. In termini di persone, nel 2012 gli imprenditori stranieri in Italia sono circa 300 mila con 120 mila soci stranieri. Prospetticamente, l'economia portata dagli immigrati è cresciuta notevolmente negli anni e negli ultimi dieci le imprese straniere sono passate da un iniziale 2% del totale all'attuale 9%. Un altro dato significativo circa l'importanza dell'apporto straniero: nei primi 9 mesi del 2012, se non ci fossero state le imprese degli extra comunitari, il saldo tra aperture e chiusure sarebbe ampiamente negativo. E in termini di Pil? Lo studio di Confesercenti riporta un valore importante: 5.7%.
Il commercio è il settore che assorbe più imprenditoria con il 44% delle imprese straniere. Il restante 66% si divide tra costruzioni (26%), manifattura (10%) e altro.
Prevalentemente la forza imprenditoriale e lavorativa straniera è proviene dall'Africa (98.000 attività); i marocchini sono in numero maggiore (57.000) seguiti da senegalesi (15.851), egiziani (13.023) e tunisini (12.348). Quest'ultimi si applicano all'edilizia, gli egiziani alla ristorazione mentre marocchini e senegalesi nel commercio. Le altre etnie presenti in ordine numerico sono quelle cinesi, albanesi e anche rumene.

Integrazione
L'analisi dei numeri raccolti nella diverse ricerche evidenzia un fattore molto importante: non è vero che le imprese degli extracomunitari sottraggono lavoro a quelle italiane. Anzi, spesso sono un elemento di collante nell'economia andando a presidiare nicchie e spazi che, nonostante siano stati abbandonati dagli italiani, presentano ancora margini di sviluppo e contribuiscono alla ricchezza complessiva del Paese. Se si considera lo spaccato delle attività commerciali si scopre che il commercio a sede fissa degli imprenditori stranieri vale solo il 30% mentre il restante 70% è ambulantato e fuori banco. Si tratta di attività che, al netto del rispetto delle regole, garantiscono la copertura commerciale e il servizio in modo capillare in ogni angolo del territorio. Comunque occorre dire che gli imprenditori stranieri non scelgono questi tipi di soluzione nel commercio esclusivamente per un disegno di business ben preciso: devono fronteggiare la burocrazia e la selva di leggi italiane e quindi cercano le forme più semplici per poter intraprendere.
Occorre poi sottolineare come la ricchezza prodotta non sia utilizzata solo per l'auto sostentamento o per le rimesse nei paesi di origine: ricade sul territorio produttivo nazionale fertilizzandolo. Secondo una ricerca del Cnel il 66.5% delle imprese degli stranieri ha clienti in Italia e ben il 77,3% si rivolge a fornitori italiani per soddisfare il proprio mercato. Di più: il 22,2% assume personale italiano. Anche l'integrazione con il territorio è marcata in quanto gli imprenditori stranieri ritengono fondamentale la relazione con gli italiani per ottenere risultati di successo. Oltre alle imprese commerciali prevalentemente di tipo commerciale descritte qualche riga più sopra che servono nicchie di bisogni, le imprese degli stranieri si dividono in aziende al servizio delle piccole comunità etniche (le prime a insediarsi) ma anche quelle che si pongono sul libero mercato e competono con tutti gli attori presenti. Questi soggetti utilizzano tecnologie e modalità di livello e generano occupazione.■

Allegati

217_Imprese_straniere

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